G8, tortura alla Diaz. Fini: «A Genova qualcuno perse la testa»

G8, tortura alla Diaz. Fini: «A Genova qualcuno perse la testa»
di Gigi Di Fiore
Mercoledì 8 Aprile 2015, 08:38 - Ultimo agg. 09:00
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Presidente dell’associazione culturale «Liberadestra», fino agli inizi del 2013 presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini era vice premier del governo Berlusconi nel luglio del 2001, quando esplosero gli incidenti a Genova durante il G8. Era nel capoluogo ligure, anche nelle ore della violenta irruzione degli agenti di polizia alla caserma Diaz.



Un testimone politico diretto di quei giorni. Presidente Fini, cosa pensa della condanna nei confronti dell’Italia, decisa dalla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo sui fatti di Genova? «Faccio una premessa d’obbligo: non ho, naturalmente, ancora letto per intero il testo della sentenza europea. Sono portato a ritenere, però, che abbia inciso sulla decisione l’assenza, nel nostro sistema giuridico penale, del reato di tortura, previsto invece in altri Stati democratici».



Pensa che, nella sua decisione, la Corte di Strasburgo sia stata influenzata anche dalle condanne ricevute in Italia da alcuni funzionari di polizia?

«Senza dubbio, considerando che, non esistendo da noi il reato di tortura, la Corte europea si è dovuta esprimere su generiche violazioni di diritti umani. Va detto, però, che le sentenze di condanna ai funzionari dei polizia riguardavano soprattutto la copertura di responsabilità, attraverso depistaggi e false dichiarazioni».



È favorevole all’introduzione del reato di tortura in Italia?

«Sì, auspico che l’approvazione del testo, che non ho letto e non conosco nel dettaglio, avvenga il più rapidamente possibile. Si tratta di un’ipotesi a tutela del cittadino, ma resto convinto che la norma non debba offrire pretesti per criminalizzare, in maniera generica, l’attività delle forze dell’ordine che svolgono un lavoro difficile. Del resto, l’ipotesi di tortura può anche essere applicata ad un cittadino che compia atti violenti efferati nei confronti di un altro cittadino».



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