Valle d'Aosta, il trenino degli sciatori non va nemmeno all'asta

Valle d'Aosta, il trenino degli sciatori non va nemmeno all'asta
di Gigi Di Fiore
Sabato 8 Agosto 2020, 08:10 - Ultimo agg. 12:50
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I trenini di Jep Gambardella nelle feste del film «La Grande bellezza» non portano da nessuna parte, proprio come il «trenino dei minatori» nella Valle d'Aosta. Trent'anni di progetti e lavori, una spesa di 30 milioni di euro per dichiarare fallita l'idea di collegare con una tramvia intercomunale Cogne ad Acque fredde in provincia di Aosta: una via della neve e dello sci, nelle intenzioni di chi l'aveva ideata per riconvertire un'antica ferrovia che aveva altra funzione. Ma tutto è finito con un nulla di fatto e l'intervento, con una condanna, della Corte dei conti.

L'ASTA DELLA REGIONE
Era stata già annunciata otto anni fa, ma solo nell'aprile scorso la Regione autonoma della Valle d'Aosta, dove non esiste altro partito di rilievo che l'Union Valdotaine, decide di mettere all'asta il trenino della discordia. Tre locomotive bidirezionali e dieci carrozze nuove, costruite tra il 1997 e il 2006, in vendita con base d'asta 630mila euro. Naturalmente nel prezzo sono compresi, si dice nel bando, «due carica-batterie statici, alcuni pezzi di ricambio, la manualistica, un terzo carica-batterie». Tutto senza collaudo, ma con documentazione tecnica. Il 14 luglio era il termine ultimo fissato per le offerte, da esaminare. Nessuno ha risposto all'annuncio, l'asta per ora è andata deserta anche se la notizia non è stata ancora ufficializzata. È l'epilogo di una vicenda che ha fatto gettare alle ortiche 30 milioni di fondi regionali, tra entusiasmi e annunci di benefici e recupero in un territorio dalla storia e dalle collaudate capacità turistiche legate agli amanti dello sci.

LA VECCHIA MINIERA
Tutto comincia con la chiusura della vecchia miniera di Cogne, quella di magnetite che alimentava la produzione di ferro nell'acciaieria di Aosta realizzata nel 1916. È il 1979, l'impianto non serve più, appartiene a un mondo superato e non più concorrenziale. Il minerale veniva trasportato con rapidità con una linea ferroviaria di collegamento tra Cogne e Acque Fredde inaugurata nel 1922. Storia di una piccola regione, che ha pensato di riconvertire quegli impianti trasformandoli in linea tramviaria interurbana per collegare Pila e Cogne e legare gli impianti sciistici delle due località. Ma sin dall'inizio si scopre che burocrazia, costi e difficoltà non sono ostacoli da poco. Il Comune di Cogne ci mette cinque anni per la acquisizioni, poi arrivano ammodernamenti di gallerie tra il 1986 e il 1990. La previsione sono 12 chilometri, di cui 8 in galleria con interscambio alla telecabina Aosta-Pila e prolungamento della linea da Eaux-Froides a Plan Praz. Si arriva al 2005 e la Regione decide di affidare la gestione e la realizzazione del progetto alla società Pila spa. È il 2006, il contratto prevede un impegno fino al 2014. Un contratto di servizio, che impegna la Regione a versare al gestore 5 milioni di euro. Entusiastico l'annuncio dell'assessore regionale ai Trasporti e turismo, Ennio Pastoret, al momento della presentazione dell'intesa: «L'obiettivo è integrare i servizi di trasporto tra i comprensori di Aosta, Pila e Cogne, consentendo l'ottimizzazione economica e gestionale dei servizi».
Il progetto di 14 anni fa prevedeva 12 chilometri con tempo di percorrenza di 25 minuti, il 70 per cento di gallerie con pendenze mai superiori all'1,5 per cento. Binario semplice, convoglio unico, 3 locomotori verdi V38, 10 vagoni «Firema R27» per 150 passeggeri con notevole risparmio di tempo, considerando che in auto per lo stesso percorso c'erano da fare 40 chilometri. Passano nove mesi e viene annunciata l'apertura della linea entro la fine del 2007. Ci sono da avviare i collaudi, anche per i tre locomotori di colore verde capaci di 10 corse al giorno. Il rapporto annuale della Regione Valle d'Aosta annunciava nel 2006: «Il nuovo servizio offrirà un'opportunità unica ai frequentatori di Pila e Cogne sia in estate sia in inverno».
 


I PROGETTI SBAGLIATI
Della progettazione, su incarico della Regione, si era occupato l'ingegnere Alberto Devoti, che viene nominato anche direttore dei lavori. Ad avvisare che qualcosa non va è il sindaco di Cogne, Bruno Zanivan, nel 2007. Parla di «problemi tecnici e finanziari» e annuncia, rispetto alle previsioni, lo slittamento di due anni per l'inaugurazione della linea tramviaria: invece del 2007 il 2009. Alla fine, si scopre che i locomotori non hanno autonomia sufficiente e che il rivestimento di una galleria, quella più lunga e storica del Drinc, subisce continue infiltrazioni d'acqua. Non è possibile avviare la linea, senza fare brutte figure. Il riutilizzo dell'antico tracciato ferroviario sembra impossibile, nonostante i soldi spesi. La Regione si affida all'ingegnere Aniello Bandinelli per capirci di più, affidandogli uno studio-consulenza che costa 7721 euro. C'è in piedi l'ipotesi di trasformare tutto in tratto stradale, mentre la relazione della Commissione di sviluppo economico regionale che valutata anche il lavoro del progettista Devoti è impietosa e parla di «numerosi e gravi difetti di progettazione e esecuzione dell'opera». Il punto più difficile e controverso è la galleria del Drinc. La Regione si affida alla sua Commissione di sviluppo economico anche per studiare la possibilità di riconvertire il tracciato, le biglietterie, le stazioni a Cogne come a Gressan. La Commissione si mette d'impegno nel 2011 e fa una serie di audizioni: il sindaco di Cogne, Franco Allera; il sindaco di Gressan, Michele Martinet; la società Pila spa; l'assessore regionale ai Trasporti e turismo, Aurelio Marguerettaz. Alla fine, la decisione-parere della Commissione è senza appello: il progetto della linea Pila-Cogne è impossibile e va abbandonato. È l'11 aprile del 2011 quando la Regione deve prendere atto di aver gettato alle ortiche 30 milioni di euro. Forse, prima di partire, era meglio verificare le condizioni di attuazione del progetto.

LA CORTE DEI CONTI
Tre mesi dopo, il Consiglio regionale, con 24 voti a favore e otto contrari, «impegna la giunta a rinunciare al progetto, ponendo in essere ogni adempimento finalizzato alla chiusura definitiva dell'opera e dei rapporti in corso con imprese costruttrici e fornitrici». Una decisione accompagnata da una denuncia alla Corte dei conti che la Regione presenta, individuando un responsabile capro espiatorio del fallimento dopo 30 anni: il progettista Alberto Devoti. Dopo una prima condanna a un risarcimento di 13 milioni di euro, la terza sezione giurisdizionale centrale di appello della Corte dei conti stabilisce che l'ingegnere, che oggi ha 76 anni, deve rimborsare la Regione con 6 milioni di euro. La Regione non ha perso tempo ed è partita con i pignoramenti sulle proprietà dell'ex progettista che è destinato a rimanere l'unico responsabile di una vicenda paradossale di sprechi e leggerezze. Diego Empereur, presidente della Commissione di sviluppo economico della Regione aveva avvertico nella sua relazione: «La manutenzione straordinaria per il risanamento dell'opera richiederebbe un impegno di spesa di 15 milioni di euro, mentre una riconversione stradale è stata valutata dai 140 ai 200 milioni di euro». Una sconfitta su tutti i fronti, come sottolineò nove anni fa il consigliere regionale del Pdl, Enrico Tibaldi. E l'epilogo non poteva che essere una scelta singolare e unica in Italia: l'asta pubblica per vendere il «trenino dei minatori», per ora andata deserta. Non si sa chi possa avere interesse, e per farne cosa, ad acquistarlo. Trenta milioni andati via, senza ottenere nulla e con strutture destinate a diventare fatiscenti e sempre più inutili.
(4 - continua)
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