L'agonia in diretta su Facebook, riecco la pornografia della morte

L'agonia in diretta su Facebook, riecco la pornografia della morte
di Alessandro Perissinotto
Martedì 24 Ottobre 2017, 08:51 - Ultimo agg. 16:06
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Noi crediamo di avere il controllo degli oggetti, ma spesso sono gli oggetti a controllarci o, addirittura, a ridurci in schiavitù: gli oggetti ci danno delle possibilità e quelle possibilità diventano obbligo, dipendenza.

Forse si spiega così quanto è avvenuto l'altra sera a Riccione. Sull'asfalto c'è un giovane, si chiama Simone Ugolini, ha 24 anni ed è appena caduto dal motorino. Le sue condizioni sono gravi, è agonizzante; la gente si ferma, qualcuno tira fuori il telefonino per chiamare i soccorsi, qualcun altro il telefonino lo usa per filmare la scena, per mandare in diretta la morte lenta di un ragazzo. L'improvvisato reporter si chiama A.S.: il nome per esteso lo conosciamo e non c'è sito web che, nel dare la notizia, non lo citi, ma qui ci piace l'idea di garantire un minimo di privacy persino a uno come lui, ci piace l'idea di tornare indietro nel tempo, all'epoca in cui Guccini cantava «In morte di S.F.» e in cui la delicatezza imponeva di rispettare il dolore delle famiglie delle vittime e di quelle dei carnefici, all'epoca in cui, «finire sul giornale» era l'inizio dell'onta. A.S., dicevamo, afferra il suo smartphone e filma, come se il possesso di quell'oggetto non gli lasciasse altra scelta: con uno smartphone in mano, pensa, non puoi fare altro che «globalizzare» l'evento cui stai assistendo; non puoi chiamare aiuto, non puoi avvertire qualcuno e non puoi nemmeno infilartelo di nuovo in tasca, puoi solo riprendere.

Intendiamoci, quello che è accaduto l'altra sera a Riccione non è una novità assoluta. Torniamo indietro di un paio di settimane e spostiamoci a Napoli: una donna cerca di sfuggire all'incendio della sua abitazione passando al balcone vicino, ma scivola e si aggrappa alla ringhiera; rimane sospesa, in aria. La gente, in strada, trova il modo di filmarla, di fotografarla, di immortalare la sua lotta contro la morte, ma non riesce a far nulla per attutire la sua caduta, non mette materassi, non tende teli, non sistema scale, non sale sul balcone sottostante per aiutarla. Oppure, torniamo indietro di undici anni, torniamo a quei cellulari che non erano ancora dei computer, ma che già cominciavano a fare le foto: ad Asti, nel 2006, una giovane donna cade dal balcone di casa e il suo corpo rimane infilzato dalle punte di una cancellata di ferro. Lì davanti c'è una scuola superiore ed è l'orario di uscita: gli studenti si mettono in coda per fotografare il cadavere trafitto.

L'oggetto telefonino si mette al servizio di quella che Geoffrey Gorer, in un suo famoso saggio del 1955, chiama «Pornografia della morte»: in un mondo che rifiuta l'idea di morte, poter diffondere senza limiti l'immagine di un cadavere diventa una tentazione irresistibile. Il punto più estremo di questo voyeurismo/esibizionismo macabro è rappresentato dalla diffusione del video che due adolescenti britannici, Michael Owen e Kyle Careford, hanno girato nell'abitacolo dell'auto con la quale correvano a 150 all'ora e con la quale si sarebbero di lì a poco schiantati: a metterlo in rete però, sono state le famiglie stesse delle vittime e lo hanno fatto per sensibilizzare i ragazzi sui pericoli dell'alcool e delle sostanze.

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