Violenze a bordo della nave Diciotti, scafisti incastrati dai documenti

Violenze a bordo della nave Diciotti, scafisti incastrati dai documenti
di Michela Allegri
Martedì 28 Agosto 2018, 10:30 - Ultimo agg. 14:52
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Un nome su tutti è rimasto scolpito nella loro memoria e il suo volto, così come quello dei suoi gregari, è impossibile da dimenticare. «Ci trattavano come merce. Ricordo che quello che quello che organizzava i viaggi si chiama Abusalem.

I suoi uomini erano armati, in Libia ci impedivano di allontanarci dalla prigione e violentavano le donne», hanno detto i migranti sbarcati dalla nave Diciotti che, con le loro testimonianze, hanno permesso alla Dda di Palermo di fermare quattro presunti scafisti. Le donne hanno ripetuto di essere state violentate. A confermarlo, i referti medici dell'ospedale di Catania. Mentre i ragazzini scesi dalla nave hanno ripercorso le torture subite in Libia - «litigavano tra loro per spartirsi i gruppetti di profughi. Uno ha sparato un colpo in aria e il proiettile mi è entrato nella spalla destra. Non ho mai potuto operarmi e ora non riesco a chiudere le dita della mano». Le loro parole, per gli inquirenti, confermano la versione dei 13 migranti fatti sbarcare dalla motovedetta della Guardia costiera subito dopo l'intervento di soccorso e ricoverati negli ospedali di Lampedusa e di Porto Empedocle.
 
Hanno riconosciuto i quattro scafisti dalle fotografie degli agenti della Squadra mobile: «Il numero 78, il 109, il 36 e il 34 - hanno detto senza esitazioni - guidavano loro l'imbarcazione. Uno aveva in mano una bussola e l'ha gettata in mare quando si sono avvinate le motovedette per soccorrerci». Le testimonianze dei migranti hanno permesso alla Dda di Palermo di stringere le manette ai polsi di tre egiziani e un bengalese, accusati di associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, violenza sessuale, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e procurato ingresso illegale in Italia. I quattro, dopo l'autorizzazione allo sbarco data dal Viminale sabato notte, identificati anche grazie alle procedure di sicurezza messe in atto dallo stesso ministero, sono stati portati nel centro di accoglienza di Messina. Si nascondevano tra i profughi che hanno traghettato dalle coste africane e che sono stati soccorsi dalla nave militare italiana in acque maltesi, nella notte tra il 15 e il 16 agosto. Gli inquirenti li hanno identificati e portati nel carcere di Gazzi. Sarà il gip di Messina a interrogare gli scafisti e a decidere se convalidare o meno il fermo disposto dai pm. I migranti hanno fornito dettagli. Hanno raccontato che Abdusalem è sempre scortato da uomini armati. I suoi accoliti reclutano i passeggeri, intascano i soldi. Sarebbero sempre loro - come scrive la Dda di Palermo nel decreto di fermo - ad andare a caccia di profughi da traghettare e a sorvegliarli durante i mesi di prigionia nei campi libici, in attesa della partenza. Nei prossimi giorni verranno sentiti anche i migranti sbarcati sabato e ospiti del centro di accoglienza di Messina. Struttura che - dice il sindaco della città, Cateno De Luca - potrebbe essere abusiva.

Mentre prosegue l'inchiesta sui trafficanti, il procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi, attende da Agrigento le carte dell'indagine a carico del leader del Viminale, Matteo Salvini, e del suo capo di Gabinetto, Matteo Piantedosi. Nei confronti di entrambi il procuratore Luigi Patronaggio e l'aggiunto Salvatore Vella ipotizzano il sequestro di persona, arresto illegale e abuso d'ufficio, per avere atteso quasi dieci giorni prima di autorizzare lo sbarco dei migranti a bordo della Diciotti. Gli atti arriveranno mercoledì dai colleghi della città dei templi e a quel punto verranno inviati al tribunale dei Ministri, che avrà 90 giorni per compiere indagini preliminare, sentire il procuratore Patronaggio, interrogare Salvini e Piantedosi, e decidere se archiviare il caso o restituire gli atti ai pm che, a quel punto, dovranno chiedere l'autorizzazione a procedere al Senato che, a maggioranza assoluta, può negare l'autorizzazione se reputi che il ministro abbia agito per la tutela di un interesse dello Stato. Sul punto Salvini è categorico: «Questa inchiesta sarà un boomerang per i magistrati», ha detto ieri in un'intervista a Il Messaggero. È talmente sicuro di sé e del suo operato da essere pronto a rinunciare all'immunità e a chiedere al Senato di votare contro di lui: «Se il Tribunale dirà che devo essere processato andrò davanti ai magistrati a spiegare che non sono un sequestratore». In questo caso, a giudicarlo sarebbe il tribunale ordinario.
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