La parabola dei due forni che restano sempre aperti

di Massimo Adinolfi
Lunedì 23 Aprile 2018, 09:18
4 Minuti di Lettura
L'incarico che con tutta probabilità Roberto Fico riceverà dal Quirinale è rivolto anzitutto ad esplorare la possibilità di un'intesa fra Movimento Cinque Stelle e partito democratico. Si tratta del secondo forno. Qualche giorno fa Di Maio aveva detto che avrebbe aspettato ancora qualche giorno, poi uno dei due forni, quello leghista, si sarebbe chiuso. L'incarico a Fico avrebbe potuto o forse dovuto significare qualcosa del genere, e invece le ultime dichiarazioni di Di Maio non vanno affatto in questa direzione: «Io credo fortemente nel fatto che con la Lega di Matteo Salvini si possa fare un buon lavoro per il Paese. Possiamo fare cose molto importanti». Altro che chiudere il forno: Di Maio nelle ultime ore lo ha tenuto non aperto, ma spalancato. Se lo ha fatto, è perché ha i suoi buoni motivi.  

Uno soprattutto ce l'ha in casa: se Fico riferisse per davvero al Colle che c'è una concreta chance di stringere un accordo con i democratici, Di Maio dovrebbe con tutta probabilità dire addio alle sue personali aspirazioni di andare a Palazzo Chigi. Perché un accordo del genere non potrebbe mai farsi con Di Maio premier: il Pd metterebbe in cima alle sue condizioni un suo dietrofront. D'altra parte, se fosse Fico a portare a casa l'accordo, come potrebbe non esser lui a formare il governo? E come potrebbe Di Maio dire di no solo per la sua personale ambizione? Dunque, in questa fase, per il capo dei Cinque Stelle il forno da tenere chiuso è proprio quello democratico. E dunque: non sappiamo se il mandato al Presidente della Camera sarà formalmente o temporalmente circoscritto; quel che comunque è certo è che è ben circoscritto anzi: quasi vanificato - sul piano politico dalla corrente di simpatia che Di Maio ha prontamente ristabilito con Salvini. Rendendo ancora meno plausibile che il Pd accetti anche solo di intavolare una discussione coi Cinque Stelle, mentre il loro capo spende parole zuccherine sull'affidabilità del leader del Carroccio.

Fico si muove peraltro in un quadro almeno nei toni modificato rispetto a quello che si è trovato dinanzi la Presidente Casellati. Vi sono state infatti le dichiarazioni sopra le righe di Berlusconi (i grillini a cui far pulire i cessi), e soprattutto la sentenza della Corte di Assise di Palermo. Le prime sono servite a Salvini per smarcarsi dal Cavaliere, anche se non ancora a rompere; la seconda è servita invece a Di Maio per allargare ulteriormente il solco che allontana i grillini da Forza Italia. Senza farsi alcuno scrupolo nel maneggiare politicamente, e nella maniera più sfacciata, una sentenza di primo grado, il capo politico dei Cinque Stelle l'ha usata per esortare Salvini a separarsi definitivamente dalle nequizie berlusconiane (tra i condannati dai giudici palermitani c'è infatti anche Dell'Utri, il braccio destro del Cavaliere).

Il leader leghista non sembra però ancora pronto al grande passo. Sa che l'intesa coi Cinque Stelle è l'unico modo per evitare sfuggire a ipotesi di governi istituzionale, che si affacceranno dopo che anche Fico avrà esaurito il suo giro, dal momento che il Presidente della Repubblica dovrà provare in ogni modo a scongiurare nuove elezioni, ma sa anche che il giorno dopo la rottura non sarebbe più il candidato premier di una coalizione del 37%, ma solo il segretario di una forza politica al 17%. 

E per allentare la cogenza di questi numeri non può certo fare affidamento sul voto molisano. A meno di clamorose inversioni di tendenza rispetto al 4 marzo, quel che le urne in Molise possono fare è registrare assestamenti, ma non è che la poltrona di Palazzo Chigi possa essere assegnata sulla base di quel che succede a Campobasso. Che i Cinque Stelle siano il primo partito, che la marea gialla si gonfi ulteriormente o si ritiri un poco, che siano in grado di conquistare per la prima volta la guida di una regione, è già nelle cose, riescano o no nell'impresa in questo turno elettorale. 

Se mai, Salvini vorrà aspettare l'esito delle regionali in Friuli, domenica prossima. Datemi ancora qualche giorno, ha detto. Non ha infatti motivo di incrinare l'alleanza proprio ora, a ridosso di un voto in cui il centrodestra si presenta unito, e dal quale la Lega, che esprime il candidato governatore, può ricevere una nuova spinta, colorando di verde un altro lembo di Nord. Nel comizio di ieri, Salvini ha quindi ribadito che lui rispetta i patti, che resta nella squadra in cui si è presentato, che mantiene le promesse (e ha specificato: compresa la riforma della giustizia, accennando quindi a un terreno sul quale il rapporto con Forza Italia è senz'altro condizionante). 

Dopodiché però una strada la dovrà trovare. Perché una cosa è certa: i Cinque Stelle il governo con Berlusconi non lo fanno (e la cosa si capisce bene che è reciproca). Perciò, alla fine, Salvini dovrà ad andare a vedere da solo di che pasta è fatto il fantomatico contratto alla tedesca dei grillini: lo farà o magari dirà di farlo in nome di tutto il centrodestra, per cercare di lasciare nelle mani di Berlusconi il cerino della rottura. Ma scavallato il Molise, scavallato Fico e il Friuli, il percorso sarà se non altro po' meno ingombro di ostacoli. 
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA