Sparatoria in carcere a Frosinone, scontro tra i clan di Miano: pistola recapitata col drone

Sparatoria in carcere a Frosinone, scontro tra i clan di Miano: pistola recapitata col drone
di Mary Liguori
Mercoledì 22 Settembre 2021, 07:57 - Ultimo agg. 16:25
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Carceri all'anno zero, o meglio agli anni Sessanta quando dietro le sbarre a «comandare» erano i detenuti e non lo Stato. I gravissimi fatti di Frosinone sono la punta di un iceberg che affonda le proprie radici lontano nel tempo. Dalla legge Madia che ha fatto abbassare da 46mila a 40mila il numero di agenti di polizia penitenziaria (ma sono 36mila quelli effettivamente in servizio) fino all'inchiesta choc di Santa Maria Capua Vetere con l'arresto di oltre cinquanta guardie per i pestaggi del 6 aprile 2020, passando per la depenalizzazione dei reati connessi alle rivolte dietro le sbarre (un tempo si contestavano saccheggio e devastazione, oggi danneggiamento), la delegittimazione della polizia penitenziaria è andata di pari passo al senso «di onnipotenza» che permea i detenuti di tutta Italia.

LA FAIDA DIETRO LE SBARRE
È la cornice dentro la quale a Frosinone, dentro il reparto di Alta sicurezza, si è sfiorata la strage. Con Alessio Peluso, detto o niro, esponente del gruppo delle giovani leve del clan Lo Russo di Miano, condannato a dieci anni di carcere, pistola in pugno a minacciare gli agenti e sparare ai detenuti, esponenti di fazioni opposte alla sua. Voleva le chiavi delle celle per regolare i conti ché, il venerdì precedente, tre carcerati lo avevano pestato a sangue. C'è un video della consegna dell'arma, con un drone attraverso la finestra della stanza di Peluso, ma non si comprende perché l'agente addetto ai monitor non abbia notato quanto stava avvenendo in presa diretta. Sta di fatto che la pistola calibro 7.65, carica, è arrivata in mano al camorrista. Le chiavi delle celle che reclamava per poter uccidere i rivali, gli agenti, a costo della vita, non gliele hanno date e Peluso i colpi li ha sparati contro le porte chiuse. Solo dopo si è calmato. Per lui, disposto il trasferimento ad horas. Ma come è potuto accadere che la faida di Miano si spostasse dalle strade al carcere? Non è un caso che i fatti si siano svolti a Frosinone, carcere dal quale nel 2017 evase Alessandro Menditto, il «macellaio» dei Casalesi (e da dove iniziò, nel 1981, la lunga fuga di Cesare Battisti).
 

«COMANDANO I DETENUTI»
Per gli addetti ai lavori, incluso il segretario nazionale dell'Osapp, Leo Beneduci che parla di «carceri fuori controllo, comandano i detenuti», ormai non c'è di che stupirsi.

E Frosinone non è un caso eccezionale. Anche a Foggia, teatro della più violenta delle rivolte del marzo 2020 con tanto di evasione di massa, la situazione è allo stremo. L'unico provvedimento successivo i disordini fu il trasferimento dei rivoltosi. E molti furono portati a Santa Maria Capua Vetere in quel reparto Nilo diventato una polveriera, dove i detenuti presero possesso di due intere sezioni e dove, il giorno dopo, ci furono i pestaggi. Errori, illeciti, situazioni sui quali il ministero intende far luce. L'emergenza sanitaria ha mandato in tilt quell'ordine già precario degli istituti di pena e gli effetti sono tuttora visibili. Ma per andare avanti occorre tornare indietro di un anno e mezzo, all'anno zero delle carceri italiane quando con un tam tam tra reparti di alta sicurezza di tutto il Paese si diede fuoco alle micce delle rivolte che agitarono per giorni le case circondariali italiane. Una quindicina di detenuti persero la vita, decine i poliziotti feriti, centinaia di migliaia di euro di danni per i già agonizzanti istituti. In pochi mesi vennero a galla tutti i problemi mai risolti della gestione del mondo carceri.

LA COMMISSIONE
Come è noto, in seguito all'inchiesta sui pestaggi all'Uccella di Santa Maria Capua Vetere, il ministero ha istituto una commissione che, partendo dall'analisi dei fatti dell'ultimo anno e mezzo, rivolte nelle carceri e violenze sui detenuti, andrà a lavorare per stabilire le linee guida che dovrebbero portare a quei cambiamenti più volte caldeggiati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo e mai attuati nelle carceri italiane. Dalla formazione del personale all'area sanitaria, passando per la spinosa questione della fatiscente architettura carceraria, la commissione andrà a stabilire le linee prioritarie di intervento. I lavori si dovrebbero concludere a dicembre, ma ci saranno delle proroghe perché la prima riunione della commissione si terrà solo nei prossimi giorni. «La commissione è chiamata a valutare la qualità della vita all'interno dei penitenziari, ovviamente passando anche per i fatti di questi ultimi anni, e quindi per la non semplice gestione della pandemia, che è stata un terribile banco di prova. Miriamo ad una conoscenza più approfondita delle condizioni degli istituti e dei fatti allo scopo di individuare le linee mirate per portare le condizioni detentive agli standard europei», ha detto il giudice di Cassazione Raffaello Magi, componente della commissione. «Visiteremo le strutture penitenziarie con l'obiettivo di stabilire le priorità. Lo scopo ultimo è fare in modo che chi intende fare della detenzione una fase di cambiamento della propria vita ne abbia l'opportunità», ha concluso.

«AGENTI? NESSUNA TUTELA»
La commissione si compone di magistrati, giudici di sorveglianza, provveditori. Un organo eterogeneo con un compito tutt'altro che semplice. I lavori avanzeranno mentre vanno avanti gli accertamenti che dovranno chiarire cosa è andato storto o meglio si è definitivamente rotto nella primavera del lockdown. E uno degli aspetti da chiarire è quello dei trasferimenti post rivolte che hanno finito per aumentare i disordini. Ma anche la regia «unica» delle proteste in quaranta istituti italiani andrà indagata. Ché, manovrando detenuti extracomunitari che già non usufruivano dei permessi e quindi non avevano motivo di protestare per lo stop ai colloqui dovuto alla pandemia, dai reparti di alta sicurezza, e quindi dalla criminalità organizzata, partì una sorta di ordine a fare il maggior danno possibile. «Ci daranno l'indulto» una delle frasi con le quali le «teste» delle rivolte spinsero stranieri e detenuti con problemi psichiatrici e barricarsi nei reparti, distruggere suppellettili e farne armi con le quali dare addosso alle guardie. «Da quel momento, la delegittimazione della polizia penitenziaria ha subito una definitiva impennata - ha detto Beneduci dell'Osapp che ha scritto una lettera al capo del Dap, Petralia, per sottolineare il decisivo intervento della penitenziaria a Frosinone che ha di fatto evitato una strage - torna sui problemi del personale - La situazione delle carceri è fuori controllo e molti colleghi mollano. Chiedono il passaggio alla polizia di Stato o addirittura il congedo. Chi è allo stremo usa la malattia con ulteriori ripercussioni sulla carenza di personale. Anche con la commissione ministeriale, dalla quale è esclusa la componente della penitenziaria, si dimostra uno sbilanciamento verso i diritti del detenuto e nessuna tutela per gli agenti». La riforma delle carceri è stata annunciata, il ministro ha promesso l'aumento degli organici di polpen e interventi strutturali sugli istituti, ma la tensione resta alle stelle.

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