Catalogna, le colpe dell'Europa ​senza una meta

di Alessandro Campi
Sabato 28 Ottobre 2017, 08:21
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La Catalogna si è dunque autoproclamata, in virtù di un referendum illegale nella forma e dal risultato numerico a dir poco dubbio, Stato indipendente in forma di Repubblica. È nata, sulla carta e per poche ore fino all’intervento di Rajoy, una nuova entità sovrana nel cuore dell’Europa. Legittimo chiedersi come si comporterà quest’ultima. Dopo non aver fatto nulla nel corso degli ultimi mesi e settimane, farà qualcosa adesso?

La prima reazione, dopo il voto di ieri del Parlamento catalano a favore dell’indipendenza, sembrerebbe nel segno della fermezza. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha fatto sapere – tramite un tweet, come si usa adesso anche quando si tratta di affrontare una crisi internazionale – che per l’Unione non cambia nulla e che «la Spagna resta il nostro unico interlocutore». Ma dire che nulla cambierà non vuol dire che nulla è cambiato. Sembra piuttosto il solito modo dell’Europa di chiudere gli occhi dinnanzi alla realtà o di muoversi ma solo quando i buoi del proverbio sono scappati dalla stalla.

La verità è che l’Europa in questa vicenda ha molte colpe, che ovviamente tende a non confessare nemmeno a sé stessa. Potremmo persino dire, a costo d’apparire eccessivi, che oggi si sta raccogliendo politicamente proprio quel che l’Europa ha malamente seminato negli anni trascorsi. La mentalità che vige a Bruxelles non è algidamente tecnocratica, come spesso si dice. Ma non c’è dubbio che le ragioni della politica vengano spesso sacrificate ad un’interpretazione dei fatti strettamente normativista e tecnico-legale. 

Si spiega così ad esempio la neutralità che l’Europa ha ufficialmente mantenuto nella contesa tra Barcellona e Madrid (salvo timidamente fare il tifo per quest’ultima): l’argomento era che i Trattati impediscono all’Unione di intervenire nei problemi interni di uno Stato membro. Il che sarà anche vero sul piano formale, ma del tutto irragionevole sul piano appunto politico. Forse le cose non sarebbero giunte al punto attuale (con lo spettro, anche se la parola ci fa paura, di una guerra civile che potrebbe innescarsi con un qualunque pretesto) se l’Unione europea si fosse proposta, diciamo pure imposta, come mediatrice diplomatica tra i due contendenti, invece di lasciarli soli a scontrarsi. Non lo sapremo mai, ovviamente, ma il rimpianto rimane. 

Sempre in tema di colpe e di errori si potrebbe poi ricordare l’atteggiamento di incondizionato sostegno tenuto dai vertici dell’Ue nei confronti del Kossovo autoproclamatosi indipendente dalla Serbia nel 2008. All’epoca, a livello di comunità internazionale, quasi nessuno tra i grandi attori collettivi (a partire appunto dall’Ue) ebbe dubbi su come e con chi schierarsi. Riconosciuto come Stato sovrano dalla gran parte degli Stati europei, il Kossovo nell’aprile 2016 ha sottoscritto con l’Ue il cosiddetto Stabilisation and Association Agreement: il passo formale che ne fa un potenziale candidato al ruolo di Stato membro. Non sarà facile, con questo vistoso precedente, spiegare ai catalani, al di là dei formalismi che rimandano ai Trattati vigenti, le ragioni politiche e storiche che impedirebbero al loro Paese prima di staccarsi dalla Spagna e poi di essere accettato all’interno dell’Unione. Si potrà sempre argomentare che si tratta di due vicende non assimilabili, ma quando si riconosce l’esercizio di un principio ad un soggetto – in questo caso il diritto all’autodeterminazione e alla secessione territoriale – è poi difficile negarlo ad un altro. 

Ma c’è dell’altro. Nell’esplosione attuale dei regionalismi e dei micro-nazionalismi, che tutti imputano al populismo dilagante, l’Europa porta anch’essa una grande responsabilità avendo negli perseguito una strategia di consapevole delegittimazione degli Stati-nazionale come forma giuridico-politica di organizzazione del potere. Dimenticando che questi ultimi sono, dal punto di vista storico-legale, la cornice all’interno della quale si sono sviluppate tutte le democrazie contemporanee minimamente funzionanti, l’Ue non solo ha tolto agli Stati funzioni e poteri. Ma ne ha in qualche modo anche minato la legittimità dal punto di vista simbolico. Invece di incamminarsi sulla strada di un’Europa federale fondata sugli Stati, si è vagheggiata la costruzione di un’idilliaca Europa dei popoli da costruire sulle ceneri dei vecchi e sempre più obsoleti Stati sovrani. 

Con Bruxelles, in tutti questi anni, non hanno interloquito solo i governi nazionali, ma anche quelli locali, i territori, le regioni, le autonomie, molte delle quali dotate di loro burocrazie, di uffici indipendenti, di lobbisti assoldati in proprio, di una propria agenda per ogni dossier o materia di quelli che si trattano a livello europeo. La Catalogna, proprio in virtù del suo ampio statuto di autonomia e della sua particolare condizione economica, in Europa si muoveva già come un soggetto politico indipendente. E come tale era trattata dalla stessa Europa. Dal punto di vista di molti catalani la secessione della Spagna in fondo è solo la logica conclusione di un percorso. Davvero non si capisce perché ora non si dovrebbe ratificare sul piano costituzionale quel che già era considerato normale e scontato nella prassi.

Nulla cambierà, secondo Tusk. In realtà per l’Europa è forse il momento di prendere una decisione. Non si tratta tanto di concedere la propria solidarietà al governo spagnolo in quanto considerato l’unico legittimo. E sperando che sia quest’ultimo da solo a risolvere la crisi (mi raccomando, senza ricorrere alla forza). Si tratta di una questione più grande e generale, che a questo punto va ben oltre il caso spagnolo: cosa vuole diventare l’Europa nel prossimo futuro? Quello che la vicenda catalana sembra annunciare è un coacervo di micro-nazionalità e di micro-sovranità, destinate pericolosamente a moltiplicarsi nell’immediato futuro, che Bruxelles potrà sperare di governare solo col pugno di ferro del rigore finanziario e in una chiave di mero dirigismo burocratico. Francamente non è una bella prospettiva. Avere giocato le autonomie territoriali e i particolarismi territoriali contro gli Stati, invece di favorire un assetto di questi ultimi autenticamente federale e pluralistico, come tale propedeutico ad un’Europa anch’essa federale e plurale, non è stata francamente una grande idea dal punto di vista politico. C’è solo da sperare che la crisi dei rapporti tra Catalogna e Spagna, giunta ad un punto realmente drammatico e senza che nessuna sappia al momento come potrà risolversi, serva all’Europa per avviare un drastico esame di coscienza e un repentino cambio di rotta. Prima che sia troppo tardi. 

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