Corea, un passo storico
ma resta il nodo nucleare

Corea, un passo storico ma resta il nodo nucleare
di Antonio Fiori
Sabato 28 Aprile 2018, 09:55 - Ultimo agg. 16:03
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Il tanto agognato incontro tra il presidente sudcoreano Moon Jae-in e il leader nordcoreano Kim Jong-un non ha tradito le attese. Seguendo un protocollo messo a punto fin nei minimi particolari i due hanno dato vita a qualcosa in cui molti speravano da lungo tempo, e cioè una riconciliazione tra Pyongyang e Seoul. 

Una riappacificazione che dovrebbe, oltretutto, rappresentare solo il punto di partenza di un processo di pacificazione dei rapporti tra la Corea del Nord e la comunità internazionale. Dal punto di vista simbolico, l'incontro di ieri ha rappresentato senza dubbio un passaggio cruciale nel processo di pacificazione tra due paesi storicamente divisi per responsabilità altrui: vedere il leader nordcoreano fare il suo ingresso nel territorio del Sud e il capo di stato sudcoreano condotto, a sua volta, per mano sul suolo nordcoreano ha scatenato un'emozione fortissima in tutto il mondo. Un'emozione tanto più forte se si pensa che solo alcuni mesi orsono la Corea del Nord non rappresentava nient'altro se non la minaccia principale agli equilibri globali, a causa dei suoi test nucleari e dei lanci missilistici, e l'interrogativo su cui gli specialisti dibattevano riguardava le modalità con cui condurre un eventuale conflitto.
 


Emozioni a parte, ciò che di significativo esce da questo summit è senz'altro il documento congiunto, immediatamente rinominato «Dichiarazione di Panmunjeom». Esso enumera una serie di punti critici su cui le due Coree sembrano prendere una posizione netta: la necessità di imprimere una svolta netta alle relazioni attraverso la creazione di un sentimento di fiducia reciproco, la cooperazione volta a minimizzare la tensione militare, il bisogno di una più stretta collaborazione finalizzata a dare un futuro alla pace sulla penisola. Queste misure sono tutte ovviamente necessarie se effettivamente i due paesi vorranno dare un seguito a ciò che è stato discusso a Panmunjeom.
 
Non si tratta, tuttavia, di novità assolute, visto che nel leggere i punti della nuova Dichiarazione viene immediatamente in mente ciò che era stato auspicato dai due leader (Roh Moo-hyun per la Corea del Sud e Kim Jong-il per la Corea del Nord) in occasione del precedente summit, tenutosi a Pyongyang al principio di ottobre del 2007. Anche in quella occasione si lavorò alacremente all'elencazione di una serie di misure analoghe a quelle di ieri, il cui fine ultimo era ancora una volta il miglioramento delle relazioni inter-coreane attraverso un percorso di «pace e prosperità». Si parlò di riunificazione, di risoluzione delle ostilità militari, dell'espansione della collaborazione economica e della creazione di una zona marittima congiunta. Ciò che accadde immediatamente dopo fu l'elezione, in Corea del Sud, di un presidente convinto che con la Corea del Nord non solo non si dovesse trattare alla pari, ma anzi che il «regno eremita» dovesse necessariamente smantellare il suo arsenale nucleare e missilistico prima di potersi consentire di interloquire con Seoul. La conseguenza di tale decisione fu una completa inversione di rotta da parte di Pyongyang, condita da nuovi test nucleari e missilistici. A differenza di ciò che avvenne allora, l'amministrazione Moon non ha ancora compiuto un anno dato che il presidente è entrato in carica il 9 maggio 2017 ed ha quindi davanti a sé tutto il tempo necessario per far sì che il percorso iniziato ieri si sedimenti, venga diffusamente accettato e non cada preda in futuro di improvvisi voltafaccia politici.

In barba al solito tweet di Trump, il quale non ha perso tempo nel cinguettare che la Guerra di Corea sta per chiudersi, ciò che non convince pienamente della Dichiarazione prodotta dall'incontro di ieri è certamente il fatto che la questione relativa alla denuclearizzazione sia stata trattata in maniera molto vaga. Nel documento, infatti, si legge, genericamente, della volontà di procedere alla completa denuclearizzazione della penisola, invece che riferirsi più esplicitamente alla Corea del Nord. Ciò ha fatto storcere il naso a molti, tanto che uno dei leader della fazione conservatrice ha commentato lo storico incontro dicendo che è stato solo «uno show camuffato da momento di pacificazione».

È plausibile che la vaghezza con cui la questione della denuclearizzazione è stata trattata sia stata necessaria per consentire a Kim di «rivendere» questo incontro come un successo totale all'interno del suo paese. Da un altro punto di vista è immaginabile come la questione dello smantellamento dell'arsenale nordcoreano debba essere discussa nel prossimo (a questo punto sempre più probabile) meeting tra il leader nordcoreano e Donald Trump, che dovrebbe avere luogo tra la fine di maggio e l'inizio di giugno.

Ciononostante, i repentini cambiamenti di atteggiamento a cui i nordcoreani ci hanno tradizionalmente abituato avevano portato molti a sperare in una dichiarazione più vincolante e precisa sui passi necessari da intraprendere con riguardo allo smantellamento dell'arsenale nucleare. Il pericolo è che, se non adeguatamente stimolata a fornire delle prove tangibili relative allo smantellamento, la Corea del Nord nel medio o nel lungo periodo, quando cioè l'attuale clima di giubilo globale sarà passato possa tornare a lavorare celatamente all'ampliamento e al perfezionamento del proprio programma missilistico e nucleare e questa distensione possa sciogliersi come neve al sole.
D'altro canto, da qualche parte era necessario cominciare per creare un clima più disteso e rifuggire la possibilità di un conflitto. Come dice un noto proverbio coreano: «Puoi condurre un cavallo all'acqua, ma non puoi costringerlo a bere».

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