La terza ondata di Covid sta attraversando molti dei Paesi africani e secondo gli osservatori potrebbe essere la più grave da quando è iniziata la pandemia. Le condizioni in cui versa il continente non sono le più favorevoli: la variante Delta, più contagiosa del virus Sars-CoV-2, avanza e incontra in gran parte una popolazione non ancora immunizzata. Secondo Africa Cdc, agenzia per il controllo delle malattie dell'Unione Africana, appena l'1% della popolazione risulta completamente vaccinata e quasi il 2,5% ha ricevuto la prima dose. Di contro, ad almeno la metà della popolazione europea è stata inoculata la prima dose di vaccino e un cittadino europeo su 3 è completamente vaccinato, stando ai numeri di Our World in Data. Molti Paesi europei sono a un buon punto delle campagne nazionali di immunizzazione. Dunque, la sproporzione tra Paesi ricchi e Paesi poveri non accenna a diminuire. Stando alle stime ufficiali, in Africa sarebbero morte più di 61mila persone di Covid e i casi sarebbero oltre 2 milioni. Sono cifre che certamente sottostimano l'emergenza. Per debellare la malattia di Covid-19 su scala globale le promesse d'impegno e di aiuto dell'Occidente dovrebbero essere mantenute in tempi rapidi e ulteriormente rafforzate. Ma, soprattutto, occorre lavorare tanto per migliorare i sistemi sanitari locali.
La scorsa settimana Yoweri Museveni, presidente dell'Uganda ha criticato «l'egoismo» della comunità internazionale responsabile di aver causato una vasta disparità nella fornitura dei vaccini anti-Covid.
L'obiettivo dell'Unione Africana è produrre il 60% di tutti i vaccini necessari entro il 2040, e quelli contro il nuovo coronavirus al più presto per mitigare gli effetti della pandemia. Per rendere possibile tutto questo, considerato l'alto livello di specializzazione richiesto, si rendono indispensabili investimenti enormi. Iniziative in questo senso esistono e sono supportate dall'Unione Europea, dalla Banca Mondale e dai donatori internazionali. La lentezza che ha caratterizzato le vaccinazioni nel continente non si spiega solo alla luce della scarsità di sieri disponibili. Gli aiuti internazionali non mancano del tutto ma andrebbero resi più efficaci potenziando la risposta di alcune nazioni. Quando le conseguenze di una pandemia si abbattono su sistemi sanitari già di per sé malridotti, le performance non possono che essere deboli. La fragilità della catena di distribuzione, la mancanza di infrastrutture adeguate e la carenza di personale sanitario formato e preparato sono tra le cause dei problemi africani. Inoltre, resta l'impossibilità logistica di testare la popolazione e dunque, anche a fronte della garanzia di farmaci, si pone il dubbio: a chi fare il vaccino e a chi no? In media la popolazione africana è molto più giovane di quella occidentale, dunque, tanti potrebbero aver contratto la malattia in forma del tutto asintomatica. Non va dimenticato, inoltre, che in Africa si continua a morire non solo di Covid ma ancora molto a causa della malaria. Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell'Oms, già a fine maggio aveva posto l'attenzione sui rischi dell'«apartheid del vaccino». Una nuova forma di segregazione tra i cittadini dei Paesi del Nord globale e quelli del Sud globale. Per questi Paesi, in larga parte in via di sviluppo dove il virus è stato domato grazie ai più moderni sistemi di tracciamento, restano le restrizioni agli spostamenti e ai viaggi, limitazioni dovute ai bassi tassi di vaccinazione. Non solo, l'Unione Africana ha espresso preoccupazione perché il green pass europeo non riconosce i vaccini donati al continente attraverso il programma Covax. Il pass ammette solo i vaccini di AstraZeneca approvati dall'Ema e prodotti in Europa, Stati Uniti, Corea del Sud e Cina, ma non quelli fabbricati in India, ovvero i vaccini Covishield.