Mentre le campagne di vaccinazione di massa alimentano la speranza della comunità internazionale di vedere una luce in fondo al tunnel della pandemia, l’impatto del nuovo coronavirus nelle zone di guerra è sempre maggiore e le conseguenze si vedranno ancora negli anni a venire.
In Siria il virus rappresenta una sfida senza precedenti per la sanità, già molto provata da 10 anni di guerra civile. A febbraio 2021 i media di Stato informavano che a Damasco le terapie intensive erano al limite. Il segretario generale Onu Guterres ha invece ricordato che solo il 58% degli ospedali è completamente operativo. La pandemia ha in parte congelato il conflitto, dopo l'avanzata delle forze fedeli al regime avvenuta a inizio 2020. Ma sono stati sospesi anche molti programmi di protezione della popolazione.
Secondo le autorità siriane, ad oggi sono stati registrati più di 18mila contagi e oltre 1250 morti solo nei territori controllati dal governo.
In Africa non ci sarebbe stata una crescita drammatica dei contagi. In tutto il continente i numeri sono saliti in modo limitato e costante, perché la popolazione è in media molto più giovane di quella europea. Ma anche in queste aree sono davvero pochi i tamponi effettuati. L'Unicef a inizio anno ha lanciato un duro avvertimento sulla salute di oltre 10 milioni di bambini vittime di grave malnutrizione nel nord-est della Nigeria, nella Repubblica Democratica del Congo, nella regione del Sahel centrale, in Sud Sudan e in Yemen. Nella Repubblica Democratica del Congo, dove è stato ucciso il nostro ambasciatore, Luca Attanasio, i conflitti tra gruppi armati, la povertà e il Covid hanno aumentato la vulnerabilità delle famiglie e dunque della popolazione infantile. In un altro Paese, l’Angola, dove la guerra civile iniziata nel 1975 è andata avanti fino al 2002, il coronavirus sta avendo un effetto rilevante sull’economia. «L’Angola, prima che venisse colpita dal Covid-19, stava registrando buoni progressi sotto il presidente João Lourenço», commenta Marco Cochi, ricercatore del Centro militare studi strategici del ministero della Difesa, analista dell'Osservatorio ReaCT e Eastwest. «Poi - prosegue Cochi - la crisi sanitaria ed economica ha costretto il governo angolano a chiedere al Fmi un prestito di circa 487,5 milioni di dollari, approvato lo scorso gennaio dal comitato esecutivo del Fondo». In Libia, invece, il livello di emergenza causato dalla diffusione del virus è stato elevato da 3 a 4 e la pandemia sembra aver avuto il maggiore impatto sulle donne.
In Yemen, dove c'è la peggiore crisi umanitaria al mondo, si combatte da 6 anni tra la coalizione a guida saudo-emiratina e i ribelli Huthi fedeli all’ex presidente Ali Abd’Allah Saleh e sostenuti dall'Iran. Lì i casi confermati di nuovo coronavirus sono oltre 4300 e i morti quasi 900. Anche in questo caso c’è poco da fidarsi dei numeri. Ma a inizio marzo le infezioni sono state di 22 volte superiori rispetto al mese prima, un dato certamente allarmante. Il collasso dell'economia e dei servizi statali ha lasciato più di 12 milioni di bambini privi di assistenza. Milioni di genitori yemeniti sono costretti a scegliere tra cibo o cure mediche per i propri figli.
E proprio in Yemen uno studio del think tank Carnegie Endowment for International Peace evidenzia una delle strategie connesse alla strumentalizzazione della pandemia: addossare a forze esterne la responsabilità dei problemi interni, usare la crisi sanitaria per portare avanti la propria agenda politica. Come i ribelli Houthi accusano l'Arabia Saudita di diffondere il virus tra gli yemeniti, così in Iran l'Ayatollah Ali Khamenei a inizio della crisi sanitaria aveva definito il nuovo coronavirus un'arma biologica degli Stati Uniti. L'altra strategia è approfittare dell'attenzione rivolta al virus per lanciare campagne militari, come quella dell'Azerbaijan nella regione contesa del Nagorno-Karabakh. Non solo, la pandemia di Covid-19 e le gravi conseguenze economiche che ne derivano potrebbero innescare una diffusa crisi di legittimità governativa in Africa sub-sahariana, spiega ancora Cochi. «Il Covid può andare a rafforzare la capacità di proselitismo dei movimenti salafiti attivi nell’area. Gli estremisti islamici potrebbero sfruttare la crisi prodotta dal Covid-19 per rafforzare la loro presa sulle popolazioni locali, sfruttando i vuoti creati da politiche fallimentari e presentarsi come attori credibili».