L’economia americana rallenta per la prima volta dall’inizio del 2022 a causa dei timori per i dazi di Donald Trump, mentre anche dalla Cina arrivano i primi segnali di una possibile crisi causata dalla guerra commerciale con gli Stati Uniti. Il rallentamento arriva nel momento più simbolico per Trump, che proprio in questi giorni celebra i 100 giorni dal suo ritorno alla Casa Bianca.
I numeri diffusi ieri dal dipartimento del Commercio mostrano come nel primo trimestre del 2025 il Pil statunitense si è contratto dello 0,3% su base annua, al netto dell’inflazione: il Paese aveva chiuso gli ultimi tre mesi del 2024 con una crescita del 2,4%. Il calo è causato da diversi fattori economici e politici che tuttavia Trump ha provato a sminuire, incolpando, come ha già fatto in passato, Joe Biden e la sua eredità che ieri ha definito «un casino».
I consumi, il vero motore dell’economia americana, crescono, ma solo dell’1,8%, il dato più debole da metà 2023. Il governo federale ha tagliato la spesa, dopo la nascita del Department of Government Efficiency, il dipartimento guidato da Elon Musk e fortemente voluto da Trump per cercare di snellire l’apparato pubblico, per ora con scarsi risultati. Ma il vero colpo arriva dalla bilancia commerciale. Nel tentativo di anticipare l’effetto delle nuove tariffe introdotte dall’amministrazione, molte aziende hanno fatto scorte massicce di beni, facendo salire le importazioni nei primi tre mesi dell’anno. L’effetto è stato un crollo record del contributo netto delle esportazioni al Pil: il peggiore dal 1947, secondo i dati ufficiali.
I MERCATI
Così ieri i mercati sono tornati a scendere, con il Dow Jones che ha perso fino all’1%, il Nasdaq, il più ricco di titoli tecnologici, ha ceduto quasi il 2%. Gli investitori cominciano a pensare che i dazi, ideologicamente centrali per la nuova amministrazione, stiano già presentando il conto. E temono che la situazione possa peggiorare nei prossimi mesi quando l’economia americana vedrà gli effetti delle tariffe. Nei primi tre mesi di Trump, la borsa è stata in rosso per 33 giorni, circa 6.500 miliardi di dollari sono stati persi dalle aziende quotate: una situazione del genere non si vedeva dal 1974, quando Gerald Ford divenne presidente dopo le dimissioni di Richard Nixon per lo scandalo Watergate. Il crollo è peggiore anche di quello della crisi delle dotcom di fine millennio.
Nel frattempo Trump, come ha già fatto in altre occasioni, scarica la responsabilità sul passato. «Questo è il mercato azionario di Joe Biden, non quello di Trump. Io sono entrato in carica il 20 gennaio. Il nostro Paese avrà un boom ma dobbiamo liberarci dell'eredità di Biden. Ci vorrà un po’ di tempo, non ha nulla a che vedere con le tariffe, è solo che ci lascia numeri negativi, ma quando inizierà il boom, sarà unico. Siate pazienti», ha scritto Trump sul suo social Truth. Proprio ieri nel corso della riunione del suo esecutivo, il presidente ha ricordato che questo è solo l’inizio e che «i prossimi cento giorni saranno persino meglio».
Ma gli economisti e gli analisti mostrano i dati e presentano una realtà diversa: l’economia di Joe Biden, una volta superata la crisi causata dalla pandemia, si è espansa in modo costante, lasciando a Trump un Paese forte con un mercato del lavoro in crescita e un’inflazione vicina al target del 2%. Dalla Casa Bianca il consigliere economico di Trump, Peter Navarro, il principale sostenitore dei dazi, ha sminuito i numeri del Pil del primo trimestre e ha detto «di essere felice per il punto in cui ci troviamo oggi».
I CONTRACCOLPI
Tuttavia alcuni analisti, dopo le voci già circolate nelle settimane passate, iniziano a pensare che gli Stati Uniti siano già in una recessione, come aveva avvertito il ceo di BlackRock Larry Fink. Oltre agli Stati Uniti anche la Cina sta iniziando a sentire i primi contraccolpi della guerra commerciale. La produzione manifatturiera del Paese ha iniziato a scendere e con essa sono calate anche le esportazioni: i nuovi ordini di prodotti dall’estero ad aprile hanno toccato i minimi del 2022, quando l’economia mondiale subì gli effetti della pandemia. Allo stesso tempo la produzione industriale è scesa sotto i 49 punti, segnando l’inizio di un periodo di contrazione. Le tariffe di Trump stanno iniziando non solo a stravolgere il mercato interno americano ma anche a colpire l’economia cinese, costringendo Pechino a pensare a un nuovo e molto probabile piano di stimoli per sostenere la crescita.