Morto Mikhail Gorbaciov, l'ultimo leader dell'Urss aveva 92 anni: addio all'uomo che vinse la Guerra Fredda

Morto Michail Gorbacev, l'ex leader dell'Unione Sovietica aveva 92 anni
Morto Michail Gorbacev, l'ex leader dell'Unione Sovietica aveva 92 anni
Martedì 30 Agosto 2022, 22:29 - Ultimo agg. 1 Settembre, 10:51
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È morto Mikhail Gorbaciov. L'ex leader dell'Unione Sovietica aveva 91 anni. Lo ha annunciato il Central Clinical Hospital della Russia, dove era ricoverato. «Questa notte, dopo una grave e prolungata malattia, Mikhail Sergeyevich Gorbaciov è morto», recita il comunicato diffuso dal nosocomio e riportato dalla Tass. Gorbaciov verrà seppellito accanto alla moglie nel cimitero di Novodevichy a Mosca. Lo ha riferito una fonte citata dalla Tass. «Mikhail Sergeyevich sarà sepolto, come desiderava, vicino alla moglie Raissa nel cimitero di Novodevichy», ha affermato la fonte.

 

Gorbaciov, addio all'uomo che vinse la Guerra Fredda

È morto di vecchiaia a 91 anni Michail Gorbaciov, l’ultimo segretario del Partito comunista sovietico, l’uomo al quale l’Occidente deve la fine della Guerra fredda, il disarmo, la caduta del muro di Berlino, la riunificazione della Germania e anche il ritorno della democrazia nell’Europa dell’Est. Quanto era amato per queste cose all’estero, tanto Gorbaciov era odiato in patria: ancora oggi, i russi gli rimproverano la dissoluzione dell’impero, le fallimentari riforme economiche, la disintegrazione di un sistema che, alla fine, ha portato al potere i mascalzoni di oggi: ex agenti del Kgb e oligarchi senza scrupoli. Soprattutto, gli si rimprovera di avere perso il potere: secondo il modo di pensare dei russi, dice chi li conosce, è accettabile che un membro del popolo possa perdere tutto, ma se a perdere tutto è un leader che aveva il potere, allora vuol dire che non valeva niente. È un giudizio ingiusto, Gorbaciov valeva molto. Ha preso le redini di un impero che sarebbe presto collassato anche senza di lui, e ha cercato di riformarlo e modernizzarlo contando solo sulla sua capacità di persuasione. Troppo poco, occorrevano forse tempi diversi e maniere più determinate.
 

AL POTERE
Michael Sergeyevich Gorbaciov era nato il 2 marzo 1931 in un villaggio nel Nord del Caucaso, Privolnoye, da una famiglia povera. Suo padre trebbiava i campi di grano, e lui lo aiutava. Insieme furono premiati con una medaglia da Stalin per un raccolto particolarmente buono. La medaglia e gli eccellenti voti a scuola gli aprirono le porte dell’Università statale di Mosca, dove si laureò in giurisprudenza ed economia. Con le lauree, la medaglia e molte lodi tornò nella sua regione, Stravopol, nella quale divenne, a 39 anni, capo della sezione locale del partito. Anche Jurji Andropov, capo del Kgb e poi successore di Leonid Breznev al Cremlino, era di Stravopol e lo prese in simpatia. A quel tempo si giudicava ogni anno l’importanza dei nuovi leader sovietici dalla posizione che avevano nello schieramento della nomenklatura sulla Piazza Rossa, nel giorno della grande parata. La posizione di Gorbaciov si faceva sempre più vicina a quella del Segretario generale. Quando morì Konstantin Cernenko, successore di Andropov, fu scelto lui per prenderne il posto: era il 1985 e Gorbaciov, a soli 54 anni, era il più giovane leader che l’URSS avesse mai avuto.
 

LA DIPLOMAZIA E IL NOBEL
In Occidente piacque subito. Aveva carisma, una personalità magnetica, sorrideva spesso, dava l’impressione di avere un piano e di volerlo seguire. Ho avuto l’occasione di incontrarlo alcune volte a Mosca e quando entrava in una stanza la riempiva con il suo carisma. Alle presentazioni ti scrutava come se volesse leggerti l’anima, e poi dava l’impressione di sapere di te cose che nessuno gli aveva detto. Piacque subito a Margaret Thatcher, l’allora primo ministro britannico, e al presidente americano Ronald Reagan, con il quale firmò nel 1987 un importante trattato sul disarmo. Nel 1985, a Ginevra, aveva detto a Reagan che entrambi venivano da una piccola comunità rurale: e ora eccoli qui, uno di fronte all’altro, con in mano i destini del mondo. Nel 1989 e nel 1990 aveva ritirato le truppe di occupazione e permesso l’elezione di governi non comunisti in Germania Est, Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia. Nel 1990 approvò la riunificazione tedesca e l’adesione del Paese al nemico storico dell’Urss, la Nato. Nello stesso anno gli assegnarono il Nobel per la pace, ampiamente meritato anche per il ritiro dall’Afghanistan. A Mosca però niente sembrava andare per il verso giusto. Gorbaciov aveva basato il suo programma politico su tre slogan: perestroika, che significa “ricostruzione”; glasnost che vuol dire “pubblicità” o “trasparenza”; uskorenie che indicava la necessità di accelerare la produzione.
 

 

LA RIVOLUZIONE IN PATRIA
Dopo decenni di violenta repressione comunista, e dopo secoli di dominio degli zar, la gente era per la prima volta libera di dire e fare quello che voleva e gli effetti furono, com’era prevedibile in un contesto del genere, catastrofici per il regime.

Molte repubbliche socialiste nel Caucaso, nell’Asia Centrale e nella Regione Baltica dichiararono la loro sovranità e l’impero cominciò a disgregarsi. Le riforme economiche lasciarono il sistema sovietico paralizzato a metà strada tra l’economia pianificata e quella di mercato, che non decollava. 

L’INCUBO DELL’ARRESTO
Gorbaciov era stretto tra chi voleva un ritorno al passato e chi auspicava riforme ancora più veloci e incisive. I nostalgici del comunismo tentarono un golpe, nell’agosto del 1991, arrestando Gorbaciov e la sua famiglia per tre giorni nella dacia in Crimea nella quale passavano le vacanze. La famosa immagine del leader liberato che scende dall’aereo con il viso stravolto, seguito dalla moglie Raissa e dalla nipotina, avvolta in una coperta come una profuga, era quella di un uomo irrimediabilmente sconfitto. Un altro leader, Boris Eltsin, presidente della Russia, aveva preso in mano le redini della situazione contro i golpisti, e non le avrebbe più lasciate. Al regista Werner Herzog, che girò con lui una lunga intervista, Gorbaciov disse: «Mi chiedono perché non li ho fermati. Ma era come sbattere la testa contro un muro. Il fatto è che alla gente piacciono i politici come Eltsin, quelli avventati». Gorbaciov si dimise il 25 dicembre dalla presidenza dell’Unione Sovietica, che in quello stesso momento cessò di esistere. 

L’EREDITÀ 
Nel 1996 provò a candidarsi alle elezioni, ma prese solo l’1,6% dei voti. Molti storici pensano che avrebbe dovuto fare come i cinesi: liberalizzare l’economia senza intaccare il partito e la struttura dell’apparato statale. Altri dicono che è colpa sua se oggi uno come Putin è al potere. Ma è stato un politico onesto, che credeva in un sogno impossibile e ha provato a realizzarlo. Sua moglie Raissa, conosciuta all’università, lo ha sostenuto per tutta la vita, consigliandolo e cercando di limarne la verbosità e i difetti, senza lamentarsi mai. Lui l’adorava, e fu annientato dal dolore quando lei morì nel 1999. Pochi anni prima, in visita a Torino, erano stati alla Fiat, dove l’avvocato Agnelli aveva fatto organizzare una presentazione dei nuovi modelli del gruppo. Nel grande salone al Lingotto ogni auto era ricoperta da un telo, che veniva rimosso per svelarne le forme. Alla fine della presentazione, Raissa si avvicinò timidamente a un funzionario e chiese se la Fiat, come ricordo della visita, avrebbe potuto spedire loro uno di quei teli in Russia, per proteggere la vecchia Moskvich che avevano in un garage. Erano una bella coppia, ancora molto legata, e si tenevano per mano.

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