«Vi racconto mio fratello Che Guevara», a 73 anni Juan Martin rompe il silenzio

Il fratello di Che Guevara, Juan Martin Guevara
Il fratello di Che Guevara, Juan Martin Guevara
di Paola Del Vecchio
Sabato 22 Aprile 2017, 13:25
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Madrid. “Ernesto Guevara è mio fratello di sangue e il Che il mio compagno di idee. Era un tipo realmente fuori dal comune ma non perché fosse tanto eccellente. In casa non c’era la sensazione che si sarebbe convertito nel mito che è poi diventato. Era uno qualunque. Naturalmente era nemico di tutto quello che significava il culto della personalità, nemico della chiesa, nemico delle beatificazioni. Non gli sarebbe piaciuto diventare santo”. Smontando l’icona di Che Guavara, per recuperare l’uomo, oltre l’eroe. A farlo è Juan Martin Guevara, 73 anni, il fratello minore di Che Guevara, che ha aspettato mezzo secolo dalla fucilazione del promotore della rivoluzione cubana per rompere il silenzio con il quale affrontò la sua morte. E mostrare il lato più umano di ‘Ernestito’ nel libro ‘Mio fratello il Che’, scritto con la giornalista francese Amelie Vicent (300 pag. Alianza Editorial) e presentato alla Casa de America di Madrid.

Il prossimo 14 maggio saranno 50 anni dalla morte del medico e guerrigliero argentino, che assieme con Fidel Castro assaltò il Cuartel Moncada nel 1953, fece parte del Movimento 26 luglio e dalla Sierra Maestra mosse l’attacco al treno blindato che accelerò la caduta del dittatore cubano Fulgencio Baptista. Fece parte del governo rivoluzionario nell’area economica, per poi partire in viaggio per l’America Latina con l’intenzione di diffondere ed estendere la rivoluzione marxista nel continente. Ma non tornò mai a Cuba, giustiziato dall’esercito boliviano nel 1967. Divenuto leggenda per intere generazioni, icona pop riprodotta su magliette e distintivi e cinematografica, grazie alla prolifera filmografia in cui spiccano i ‘Diari della motocicletta’.

Un’epica nella quale non è stato facile per Guevara junior – che aveva 15 anni quando il Che fu fucilato – recuperare semplicemente l’uomo. Juan Martin Guevara ha assicurato che negli ultimi anni il suo compito è stato “ricompilare le oltre 3mila pagine che scrisse Ernesto e trasmettere il suo pensiero”, perché – ha lamentato – “finora sono stati pochissimi quelli che hanno letto i suoi scritti”. In altre parole, ha sentito il bisogno di scrivere il libro per “dare contenuto all’immagine che è già nota”. Ma Juan Martin Guevara ha riservato anche uno spazio per le memorie personali, nel ricordare che il fratello era “un burlone, intelligente ed erudito, che aveva una predilezione particolare per il Don Chisciotte”. E ha confessato che fu Ernestito a iniziarlo ai romanzi di Salgari e Julio Verne. “In casa nostra non si parlava, si discuteva”, ha ricordato. Più di tutti, il punto di riferimento era la figura materna, Clelia de la Serna, che fu incarcerata durante la dittatura argentina, come lo stesso Juan Martin: “La vecchia era molto profonda, perseverante e con un forte senso dell’etica. La sua relazione con Ernesto non era di madre e figlio, era politica”, ha spiegato l’autore. Che ha attribuito al Che anche un po’ del carattere paterno: “Nostro padre ci dava liberà assoluta, era molto sfacciato e un tanto opportunista”. Al punto che, quando trionfò la rivoluzione a Cuba, si presentò all’Avana per avviare business, un’idea dalla quale fu Ernesto a farlo desistere.
E, seppure la storia non si può scrivere con i se, Juan Martin Guevara è convinto che se il Che non fosse morto, la rivoluzione comunista avrebbe trionfato nell’intero continente latinoamericano. “L’America Latina sarebbe un’altra, di questo sono certo, perché la decisione era di portare la liberazione nel continente e uscire dalla dipendenza non solo dagli Stati Uniti, ma anche dall’Europa, dall’Asia e da tutti i poteri. E forse oggi Donald Trump non sarebbe presidente degli Usa”. Quanto al suo fratello eroe non ha dubbi: “Se fosse vivo, oggi sarebbe nei luoghi dove fosse necessario per lottare negli interessi dei popoli”.
Infine, un personale ricordo dei suoi giorni in carcere, durante la dittatura argentina (1976-1983), di quando l’ammirazione per Che Guevara, in continuo crescendo con la sua leggenda, non risparmiò nemmeno i suoi carcerieri. “Una volta entrò nella mia cella una guardia penitenziaria della dittatura, un esperto anti-insurrezionalista. Dopo l’interrogatorio, quando io pensavo, ecco, ora mi dice ‘domani ti mandiamo a morte’, si rivolse verso di me per dire: ‘Che grande tipo tuo fratello, peccato che sia andato a sinistra”. 
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