«Pioggia di fuoco su di noi»: Las Vegas, la strage da armi da fuoco più sanguinosa della storia Usa

«Pioggia di fuoco su di noi»: Las Vegas, la strage da armi da fuoco più sanguinosa della storia Usa
di Luca Marfé
Lunedì 2 Ottobre 2017, 16:13 - Ultimo agg. 16:48
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«Ero lì con mia sorella, poi una scarica di 200-300 colpi. Mi si è buttata addosso per proteggermi, mi ha detto ‘ti voglio bene, Taylor’. Anche dopo più di un’ora non avevamo nessuna idea riguardo al fatto che fossimo al sicuro oppure no», racconta ai microfoni di Cnn Taylor Benge, uno dei tanti volti di un pubblico festante divenuto all’improvviso bersaglio del killer che ha ucciso più di 50 persone al concerto a Las Vegas e ne ha ferite oltre 400: è la strage da armi da fuoco più sanguinosa della storia a stelle e strisce, destinata a riaprire per l’ennesima volta l’infinito dibattito sulle armi stesse, apparentemente impossibili da bandire o quanto meno da arginare. Centinaia e centinaia di proiettili impazziti lungo la “Strip” più famosa del mondo. Il viale degli alberghi più lussuosi, del turismo più sfrenato e divertito, trasformato di colpo, da quello che la polizia locale ha etichettato come un “lupo solitario”, in una sorta di girone infernale. Le prime testimonianze sono agghiaccianti.

Rachel De Kerf è un’altra delle sopravvissute al massacro. Ha filmato la sua fuga con il un cellulare. «La sparatoria è durata per 10-15 minuti». Una follia, un lasso di tempo lunghissimo. «Non abbiamo fatto altro che correre, correre forte, per le nostre vite». Accanto a lei, sua sorella Monique: «Ho visto che la band veniva allontanata di fretta, i riflettori sono stati puntati sulla folla e sulla destra del palco c’era una persona ferita. Poi sono spuntati i medici, gli addetti alla sicurezza. Poi altri spari».
 


Qualcuno racconta addirittura di aver frainteso. Storme Warren, un giornalista radiofonico che stava trasmettendo l’evento in diretta. «All’inizio ho pensato si trattasse di fuochi d’artificio. Poi altri scoppi, e così, alla terza volta, mi sono reso conto che stava accadendo qualcosa di orribile». Warren si trovava dal lato del palco: «Intere raffiche contro la struttura sotto di noi», ha ricordato visibilmente sconvolto, aggiungendo che gli sembrava di «poter sentire ancora il rumore assordante degli impatti dei bossoli».


Shanda Maloney era sveglia la notte scorsa, si trovava nella sua casa di Las Vegas. Poi le notizie, il dramma. È saltata in macchina ed ha iniziato ad aiutare gli altri come poteva: un passaggio, una corsa in ospedale.
«Il frastuono di sirene, ci si sente così soli, privi di aiuto», ha raccontato a Cnn. «Ho iniziato a ‘twittare’: se avete bisogno di un passaggio, rispondete qui, vengo a prendervi io». Dopo una notte d’inferno, si è recata presso la United Blood Bank, per donare il sangue. A sorprenderla, una coda di decine e decine di persone che avevano avuto la stessa idea di solidarietà. Alle 4 del mattino, tutti in fila per offrire una speranza: «Non ci muoveremo da qui finché non avremo fatto tutto il possibile».


 
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