Lupi solitari o emulazione, controlli flop dopo l'attacco in Germania

Lupi solitari o emulazione, controlli flop dopo l'attacco in Germania
di Valentina Errante
Domenica 8 Aprile 2018, 08:15 - Ultimo agg. 14:49
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Il buco nel sistema di sicurezza e l'azione di uno squilibrato o di un lupo solitario. Nella valutazione delle minacce, che i servizi di informazione italiani, sono chiamati a svolgere pesa anche questo aspetto. E i fatti avvenuti ieri a Muenster, che nulla hanno a che vedere con il terrorismo di matrice islamica, dimostrano come gli elementi di imprevedibilità crescano soprattutto in relazione alla possibilità di azioni emulative e come le misure non siano mai sufficienti. Blindare la città non basta.
 


L'esempio plastico a Roma è andato in scena venerdì scorso, quando alla vigilia di una festa simbolo per la cristianità, in una città blindata con un piano straordinario per la Pasqua, un tir di 12 metri ha violato la green zone, ha percorso un pezzo di via del Corso, procedendo a passo d'uomo tra i pedoni, e ha quasi raggiunto piazza del Parlamento. L'autista turco, Mavi Cekici, aveva solo sbagliato strada. Ma è stata la prova che le falle, anche in un momento di massima allerta, posso aprirsi e azioni estemporanee, e quindi imprevedibili, rappresentano una minaccia concreta alla quale è quasi impossibile fare fronte.
 
Nella relazione presentata a febbraio scorso alla presidenza del Consiglio dei ministri dai servizi segreti si parla con chiarezza della difficoltà di prevedere azioni di singoli non organizzati. Si legge nel documento: «L'anno appena trascorso ci ha restituito la consapevolezza che, nonostante le sconfitte subìte da Daesh, quella dell'estremismo islamista resta tuttora una minaccia di prima grandezza». Il nodo sono i processi di radicalizzazione che spesso avvengono tramite il web e che hanno facile presa sulle menti fragili. Si legge ancora: «L'insidiosità del fenomeno, la sua perdurante forza attrattiva, la capacità di innescare processi di radicalizzazione all'interno degli stessi Paesi target e di incoraggiare l'attivazione autonoma dei seguaci con ogni mezzo disponibile fanno infatti del terrorismo jihadista una delle sfide principali per la Comunità internazionale. Una sfida che chiede alle strutture preposte alla sicurezza un impegno tanto gravoso e costante, quanto inevitabilmente incerto negli esiti, poiché rivolto ad una minaccia che si qualifica anche per il carattere puntiforme e sfuggente».

A fronte di questo quadro uno strumento fondamentale è rappresentato dalle espulsioni, disposte per motivi di sicurezza, ma non raramente legate a elementi penalmente rilevanti. Sono 29 quelle eseguite dall'inizio dell'anno e in alcuni casi, come per Said El Masoudi, marocchino di 42 anni, si valuta anche l'aspetto psicologico. El Masuoudi «di indole violenta», era considerato pericoloso dalla stessa comunità islamica locale. Aveva mostrato non soltanto segni di fanatismo, ma anche di «alterazione psicologica esasperati dall'abuso di stupefacenti».
Senza alcun riscontro concreto aveva manifestato l'intenzione di compiere un gesto eclatante «come investire con un'autovettura gli avventori di un esercizio pubblico, ovvero di aggredirli armato di un coltello». Tanto è bastato per imbarcarlo all'inizio di gennaio su un volo diretto Palermo-Casablanca. Le storie dei 29 espulsi, 14 tunisini, sei marocchini, due macedoni tre egiziani, un turco e due pachistani. Non sono tutte uguali. Alcuni avevano avuto contatti con foreign fighters, altri lavoravano per il proselitismo. Ma spesso anche l'aspetto psicologico è una delle variabili da non sottovalutare.

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