Strage vera ma dubbi sulle cause
Damasco non è sola ad avere i gas

Strage vera ma dubbi sulle cause Damasco non è sola ad avere i gas
di Gianandrea Gaiani
Mercoledì 5 Aprile 2017, 08:56 - Ultimo agg. 10:57
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Il presidente Barack Obama incautamente ne definì l'impiego da parte del regime di Bashar Assad il «filo rosso», superato il quale gli Stati Uniti sarebbero intervenuti militarmente contro Damasco. Dichiarazione che venne messa alla prova nell'agosto 2013 dalla strage di Ghouta, quartiere di Damasco in mano ai ribelli dove un attacco chimico compiuto con razzi provocò un numero di vittime variabile tra qualche centinaio e oltre 1.700, a seconda delle fonti. Basterebbe l'incertezza di questi numeri a evidenziare le difficoltà riscontrate da osservatori indipendenti non solo ad attribuire la paternità di quell'attacco ma anche a verificare il numero di vittime. La crisi, che vide Usa, Francia e Gran Bretagna pronti a bombardare Damasco, venne risolta dall'intervento di Mosca che si fece garante dello smantellamento dell'arsenale chimico di Bashar Assad, poi trasferito nel porto italiano di Gioia Tauro e distrutto a bordo di una nave speciale statunitense sotto l'egida dell'Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac).

Come per la strage di ieri a Khan Sheikhun, nella provincia di Idlib, anche a Ghouta i ribelli mostrarono foto di bambini cadaveri o agonizzanti con l'evidente intento di indignare l'opinione pubblica occidentale favorendo un intervento militare che avrebbe portato alla vittoria le milizie ribelli sostenute dalle monarchie del Golfo Persico e soprattutto da Qatar e Arabia Saudita.

Già quattro anni or sono fonti vicine all'intelligence britannico espressero perplessità circa il fatto che il gas impiegato a Ghouta provenisse dagli arsenali delle forze governative. Circostanza che non venne denunciata esplicitamente neppure dall'Opac e nei mesi successivi apparve chiaro che armi chimiche di vario tipo, soprattutto cloro, yprite e gas nervini come il Sarin erano in possesso anche dello Stato Islamico e di altre milizie ribelli. L'Isis le avrebbe recuperate da alcuni depositi dell'esercito di Saddam Hussein, altre milizie potrebbero averle ricevute dai loro alleati arabi per provocare stragi di civili da attribuire al regime siriano: in un'intervista del 2013 il comandante di una milizia salafita ammise di confezionare ordigni con gas nervino ricevuto dai servizi segreti di Ryadh.
Nella ridda di accuse e smentite filtrate attraverso le ambiguità della propaganda occorre chiedersi «cui prodest?»

Chi si avvantaggia all'uso di armi chimiche nel conflitto civile siriano? Non il regime di Assad, che si è dotato in passato di un poderoso arsenale chimico per bilanciare le testate nucleari israeliane contro le quali l'unico deterrente praticabile per Damasco è riposto nella capacità di colpire lo Stato Ebraico con un gran numero di missili e razzi dotati di testata chimica. Nelle operazioni a bassa intensità che caratterizzano la guerra civile siriana l'uso di queste armi non ha alcun senso tattico poiché miliziani e civili vengono agevolmente soppressi con ordigni convenzionali che, a quanto pare, inorridiscono meno degli aggressivi chimici l'opinione pubblica occidentale. Come se la vita di un bambino dilaniato dalle schegge di una granata ad alto esplosivo valesse meno di quella di un bambino ucciso dal Sarin.

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