Sos terrorismo, l'esperto israeliano: «Tra i profughi possibili infiltrati»

Sos terrorismo, l'esperto israeliano: «Tra i profughi possibili infiltrati»
di Giuseppe Crimaldi
Sabato 21 Maggio 2016, 18:40 - Ultimo agg. 19:08
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All’indomani degli attentati di Bruxelles è stato l’uomo inviato dal governo Netanyahu per fornire informazioni e collaborazione nelle indagini contro le cellule dei foreign fighters. Yoram Schweitzer è il massimo esperto israeliano in terrorismo internazionale, direttore del programma “Terrorismo e Conflitti Minori” dell’Istituto di Studi per la Sicurezza Nazionale di Tel Aviv. Da due giorni è a Napoli, dove ha partecipato a un seminario di studi organizzato in un albergo del lungomare. «Il quadro generale della situazione - esordisce - è tale da non lasciare molto spazio all’ottimismo: il terrorismo di matrice islamica, quello che considera apostati e dunque nemici tutti gli “infedeli”, è pronto a colpire di nuovo. E lo farà, probabilmente, utilizzando anche nuove forme di attacchi clamorosi». Impossibile non cominciare, allora, dai misteri che ancora avvolgono l’incidente aereo del boeing Egyptair.

Fonti governative americane, ma anche molti media francesi, parlano di un attentato. Lei che idea si è fatto su quest’ultima tragedia aerea?
«Non sono abituato a giudicare senza avere elementi oggettivi, e in questo caso nessuno ha ancora elementi sufficienti per poter affermare che dietro l’incidente ci sia la mano del terrorismo. Se dovesse essere confermata l’ipotesi dell’attentato questa sarebbe davvero una cattiva notizia per tutti, specialmente per i sistemi di sicurezza di Francia ed Egitto. Sarebbe un fatto gravissimo, specie dopo la tragedia di Sharm el Sheik dove precipitò un aereo civile russo».
Che cosa ci dobbiamo aspettare adesso? Come si muove la galassia del terrorismo jihadista?
«Queste organizzazioni, che dispongono di fonti economiche ingentissime, puntano su due strumenti: l’innovazione e la sorpresa. Vogliono stupire, vogliono dimostrare di essere in grado di bypassare i sistemi di sicurezza, anche quelli più raffinati ed elevati. È il nuovo jihadismo globale. Un movimento che dispone di esperti in esplosivi e che con determinazione cambia sempre il proprio modus operandi. Per mia natura non sono mai un allarmista, e non voglio ingenerare paura: ma le capacità e le dotazioni di questi gruppi oggi sono tali da non dover essere sottovalutate».
Esiste dunque anche un rischio legato all’impiego di armi chimiche?
«La loro strategia è chiara. Dopo aver iniziato a spargere terrore e morte utilizzando un livello tutto sommato basso e “convenzionale”, adesso studiano nuove forme di attacchi. Probabilmente anche con sostanze chimiche. L’obiettivo resta comunque quello di determinare nella gente un fortissimo choc. Dobbiamo purtroppo prendere in considerazione anche questa eventualità».
Ma chi c’è dietro questi terribili progetti?
«Vede, ho sempre considerato un errore considerare Al Qaeda estranea all’Isis, e viceversa. Molti continuano a credere che Al Qaeda guardi all’Occidente solo per i propri interessi economici, privilegiando i conflitti locali in Medio Oriente e in Asia. Il nuovo terrorismo ha forme molto più complesse e vuole colpire con nuovi attentati sempre più complessi e anche spettacolari».
Quanto rischia l’Italia di fronte a queste nuove minacce?
«A mio avviso non c’è un Paese che non rischi. Dunque anche l’Italia, che dal jidahismo è massimamente considerata come l’emblema dell’apostasia deve prendere in seria considerazione ogni fattore di rischio e calcolare che - oltre a soggetti forse già presenti sul territorio nazionale - i fattori di ulteriore pericolo possono magari venire da Paesi vicini, come la Libia, o dai Balcani».
Esiste in Italia un rischio concreto che il terrorismo cerchi nuove sponde e magari anche alleanze con le mafie?
«Partiamo da un presupposto: la criminalità organizzata, secondo un abusato clichè, è poco ideologizzata e punta solo a fare affari sporchi, a cominciare dal traffico di droga. Il denaro è tuttavia il più pericoloso attrattore che rende reale questa saldatura. E le occasioni possono essere rappresentate da tanti fattori: dal traffico degli esseri umani a quello delle armi, per non parlare della droga. Dove ci sono i soldi c’è anche questo pericolo: e l’Isis di soldi ne ha davvero tanti...». 
E dunque esiste anche un rischio di infiltrazioni terroristiche legate agli sbarchi dei clandestini che arrivano dal Nordafrica?
«Certamente. Tra le migliaia di profughi che fuggono dal regime del macellaio Assad questa è una possibilità da non escludere. Napoli, inoltre, è da sempre una centrale di rifornimento di falsi documenti. Per questo serve un impegno straordinario da parte dei servizi segreti e degli organi di polizia nell’identificazione di tutti i soggetti che sbarcano in Italia. C’è bisogno di una vera e propria task force per combattere questi pericoli e prevenire ogni rischio».
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