A portarlo sul banco degli imputati, Ines Madrigal, 49 anni, ufficialmente nata il 4 giugno 1969 nella clinica San Ramon di Madrid, epicentro del macabro traffico di neonati, che secondo l’accusa faceva capo a Vela e al suo braccio destro, suor Maria Gomez Valbena, prima indagata nel caso e morta un lustro fa a 87 anni. Presidente dell’Associazione Niños Robados di Murcia, Ines non avrebbe potuto vincere la battaglia se non avesse avuto a suo fianco i genitori adottivi, Ines Perez, scomparsa un anno fa a 93 anni, e Pablo Madrigal. «Se non fosse stato per lei, che ha dichiarato all’autorità giudiziaria la verità, che il mio certificato di nascita firmato da Vera era falso, perché lei non poteva avere figli, oggi non saremmo qui», ha riconosciuto Ines alla vigilia del processo ai microfoni di Radio Cadena Ser. «Il ginecologo le suggerì di fingere la gravidanza e le nausee e di imbottirsi in ventre con cuscini, prima di ricoverarsi in clinica e fingere il parto. È stata molto generosa», ricorda la figlia adottiva. Che non ha speranza che il medico riveli chi fosse la sua madre biologica né «cosa accadde quando mi separò dalle sue braccia». Ma l’inizio del processo apre finalmente una breccia di speranza contro l'occultamento:«Delle oltre duemila denunce di bambino rubati archiviate, questo è il primo caso che arriva a giudizio, per cui è diventato un poco il processo di tutti», osserva Ines Madrigal.
«Il meccanismo era sempre lo stesso: madri anestetizzate in sala parto, alle quali veniva sottratto il neonato per darlo a un’altra coppia, disposta anche a pagare una fortuna, spesso convinta che l’adozione fosse legale», assicurava Ines Madrigal, che la sua madre biologica non è riuscita a trovarla. Come lei, molte delle famiglie delle vittime puntano l'indice su Eduardo Vela, responsabile di ginecologia e ostetricia in vari ospedali madrileñi, ex direttore della clinica San Ramon. Lo scandalo emerse nel 1982, quando un reportage del settimanale Inteviù pubblicò le foto raccapriccianti di cadaveri di bambini congelati nell’obitorio della clinica, da mostrare alle madri alle quali venivano tolti i figli, per ingannarle, facendo loro credere che fossero morti.
Ma nulla si è realmente mosso fino al 2011, quando la magistratura citò in veste di indagata la suora Maria Gomez Valbena, mano destra di Vela. La religiosa è morta nel 2013, dopo essere stata sentita due volte dai magistrati. Gli archivi della clinica sono stati distrutti. Ma ora toccherà al ginecologo, che ha finora smentito ogni implicazione nel traffico, rispondere alle accuse di sottrazione di minori, simulazione di parto e falso in documenti ufficiali, suffragate da riscontri genetici incrociati e decine di testimoni. Il ginecologo ha cercato fino alla fine di sottrarsi al processo, allegando un inizio di demenza senile, ma il Tribunale lo ha ritenuto in buone facoltà psico-fisiche e perfettamente capace di intendere e di volere.
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