Trump e la sicurezza nazionale:
«Cina e Russia potenze rivali»

Trump e la sicurezza nazionale: «Cina e Russia potenze rivali»
di Luca Marfé
Martedì 19 Dicembre 2017, 18:57 - Ultimo agg. 20 Dicembre, 09:37
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NEW YORK - Un nuovo piano per la sicurezza nazionale, una nuova “road map” per la politica estera statunitense. Con alle spalle un fitto sfondo di bandiere a stelle e strisce, Donald Trump prende la parola da Washington e si rivolge a telecamere e cittadini tracciando il quadro di fondamenta, priorità future e traguardi a suo dire già tagliati. Ce n’è per tutti o quasi.

Ce n’è soprattutto per i suoi predecessori, accusati di negligenza nei confronti della minaccia nucleare nordcoreana, di aver firmato un «disastroso, debole ed incomprensibilmente sbagliato» accordo con l’Iran, di aver lasciato che l’Isis guadagnasse vaste porzioni di Medio Oriente senza muovere un dito.

Non cita mai espressamente Barack Obama, ma è proprio a lui e ai suoi sostenitori che sta parlando. Un discorso a metà tra quello di chi vorrebbe vestire i panni di padre della nazione e quello di un più consueto tycoon alle prese con l’ennesimo comizio elettorale. Con un accento sempre ben marcato sui tanti americani «rimasti indietro», gli stessi di cui Washington (Obama, appunto) ha finto per anni di interessarsi, escludendoli invece da qualsiasi decisione che riguardasse sicurezza, immigrazione ed economia.

Ed è proprio attorno all’economia che prende forma la sua riflessione: «sicurezza economica significa sicurezza nazionale». È l’istituzionalizzazione del suo “America First”, l’America prima di tutto, teso a non tollerare più certi squilibri commerciali che non esita a definire «vere e proprie aggressioni», seppur di natura economica.

«Gli Stati Uniti non sono più disposti a chiudere un occhio su violazioni e imbrogli». Ce l’ha con la Cina, ma tira in ballo anche la Russia. E dal danaro si sposta sul fronte del potere, quello squisitamente politico: «Sfidano la potenza americana. La nostra influenza, i nostri interessi. Provano ad intaccare la nostra prosperità, la nostra sicurezza». E chiude senza mezzi termini: «Sono due potenze rivali».

Una maniera strumentale, e di fatto utile, per infiammare gli animi dei suoi seguaci, sempre a caccia di una narrativa conservatrice da Guerra Fredda. Un trucco banale, e oramai trito, per scacciare i fantasmi del Russiagate, fingendo di alzare la voce nei confronti di un Vladimir Putin con cui i rapporti sembrano invece idilliaci o quasi. Aspetto peraltro non necessariamente negativo, ma rischioso in termini di immagine e di indagini.

Ancora un tratto di voce, e di penna, sul cambiamento climatico. Che il presidente insiste nel voler cancellare dalla propria agenda puntando tutto sull’autosufficienza energetica fondata su «carbone, gas naturale e petrolio». Chiunque sperava di poterlo accusare di mancata coerenza ha trovato in questo suo lungo ragionamento l’ennesima delusione.

Una disgrazia per l’opposizione democratica, un motivo d’orgoglio per il popolo di Trump.


(Washington DC, il presidente Donald Trump durante uno dei momenti del suo discorso)

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