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Guerra in Ucraina, nel Donbass lo scontro finale con 120mila russi e 90mila ucraini: si rischia una carneficina

di Gianandrea Gaiani
Articolo riservato agli abbonati
Sabato 9 Aprile 2022, 00:01 - Ultimo agg. : 10 Aprile, 13:38
5 Minuti di Lettura

Il ritiro russo dal nord dell’Ucraina e in particolare dalle regioni di Kiev e Sumy, sembrerebbe indicare la volontà di Mosca di concentrare le forze sul fronte del Donbass per lanciare un’offensiva che potrebbe rivelarsi decisiva in questo conflitto, almeno rispetto agli obiettivi annunciati dallo stesso Vladimir Putin all’inizio della “operazione speciale” in Ucraina. La “liberazione” del Donbass potrà venire conseguita solo assumendo il controllo pieno delle province di Luhansk e Donetsk, riconosciute come repubbliche dalla Russia: se la prima è stata quasi totalmente occupata dai russi e dalle milizie locali loro fedeli, la seconda è ancora per circa la metà sotto il controllo delle forze ucraine che qui schierano il meglio e il grosso dell’esercito con forze stimate in 70/90 mila combattenti.

Una forza militare che occupa postazioni consolidate in otto anni di guerra del Donbass e che avrebbe ricevuto rinforzi a partire dall’inizio dell’anno, secondo Mosca in vista di un’offensiva che avrebbe avuto il compito di spazzare via le milizie indipendentiste filo-russe e riconquistare i territori orientali ribelli. 

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Kiev ha sempre negato un simile proposito ma Mosca ha mostrato un documento che illustra i piani di questa offensiva che sarebbe stato trovato in un comando militare ucraino espugnato ma la cui veridicità non è stata verificata da fonti neutrali.

Da un lato l’ipotesi di un imminente attacco ucraino al Donbass, regione di cui fino all’inizio dell’offensiva russa solo il 40 per cento del territorio era in mano secessionisti, spiegherebbe perché Mosca abbia scatenato l’offensiva all’Ucraina nel momento meno adatto, considerato che in marzo il disgelo trasforma il terreno argilloso in un mare di fango. Dall’altro il concentramento dei migliori reparti ucraini in questo settore costituiva una ghiotta occasione per i russi mettere fuori combattimento la gran parte delle capacità militari di Kiev.

In questo contesto sembra trovare conferme l’ipotesi che la pressione militare russa su Kiev avesse il compito di trattenere a nord molte forze ucraine e, sul piano politico, di favorire l’avvio di trattative.

Del resto il ritiro russo dai due fronti di Kiev è avvenuto in modo ordinato e non in seguito a sconfitte militari ma ha preso il via subito dopo l’annuncio di sostanziali progressi nelle trattative in Turchia. 

Difficile dire se la contropartita per il ritiro dai dintorni della capitale potessero essere concessioni ucraine in Donbass: di certo la strage di Bucha, al di là delle polemiche circa le responsabilità, sembra aver congelato se non compromesso il processo negoziale lasciando agli sviluppi militari sul fronte del sudorientale solo due possibili sviluppi.

Se trovasse conferma il concentramento nel Donbass delle truppe ritirate da altri fronti, i russi si appresterebbero ad attaccare gli ucraini contando questa volta su una discreta superiorità numerica. Nelle prime sei settimane di guerra infatti i russi hanno attaccato su più fronti ma sempre con un numero di truppe inferiore a quello messo in campo dai difensori ucraini.

Secondo l’intelligence britannica alcune unità russe ritirate dai fronti settentrionali «verranno trasferite nell’est dell’Ucraina per combattere nel Donbass» stimando però che per un qualunque dispiegamento massiccio sarò necessaria «come minimo almeno una settimana».

Tempo sufficiente a preparare i piani per un attacco concentrato con l’impiego di almeno 100/120 mila militari russi e miliziani del Donbass con un migliaio di carri armati e mezzi corazzati con altrettanti pezzi d’artiglieria. Una battaglia campale sanguinosa contro le forze ucraine trincerate in ottime postazioni difensive, per lo più tra Kramatorsk e Slavyansk anche se probabilmente con pochi mezzi corazzati ancora operativi, poche armi antiaeree e forse con scarse scorte di viveri e munizioni. 

Video

La guerra di logoramento combattuta in queste sei settimane nel Donbass ha infatti visto i russi conquistare terreno in modo lento ma inesorabile grazie anche al supporto logistico proveniente dal vicino confine russo mentre gli ucraini hanno avuto maggiori difficoltà a inviare rifornimenti a est del fiume Dnepr anche a causa degli attacchi nemici su più fronti.

Non a caso i raid missilistici russi stanno concentrandosi da due settimane sui depositi di carburante, munizioni e sugli stock di armi che l’Occidente sta inviando a Kiev con l’obiettivo di paralizzare la macchina militare ucraina nel Donbass. Ieri un missile balistico russo ha colpito la stazione ferroviaria a Kramatorsk, utilizzata per evacuare verso ovest i civili ma anche per far affluire truppe e armi: Mosca nega ogni responsabilità e attribuisce l’attacco a un missile ucraino lanciato con l’obiettivo di attribuire la strage di civili a Mosca.

«Missili lanciati dall’aria ad alta precisione nella regione di Donetsk presso le stazioni ferroviarie di Pokrovsk, Slavyansk, Barvenkovo hanno distrutto le riserve di armi ed equipaggiamento militare per le truppe ucraine che sono arrivate dall’estero nel Donbass» ha dichiarato ieri il generale Igor Konashenkov, portavoce del ministero della Difesa russo.

Colpire i rifornimenti e i depositi ucraini significa preparare il terreno all’offensiva. Del resto entro una settimana potrebbe cadere anche Mariupol, dove i russi avanzano lentamente per evitare ingenti perdite tra i militari e tra i numerosi civili ancora presenti nei pochi quartieri ancora in mano alle forze ucraine. La caduta della città priverà gli ucraini di due brigate da combattimento e del grosso del reggimento Azov ma renderà anche disponibili tre brigate russe che potrebbero puntare verso nord. 

Nonostante il vantaggio dei russi una simile battaglia sarebbe comunque molto sanguinosa, prevedibilmente con migliaia di morti per entrambi gli eserciti. Per questo Mosca potrebbe puntare su un’opzione diversa dall’attacco frontale, continuando ad avanzare lentamente ma chiudendo a ovest l’accerchiamento delle truppe ucraine, impedendone di fatto ogni movimento e bloccando ogni tentativo di Kiev di inviare rifornimenti.

Un contesto del genere potrebbe rendere di fatto superflua una battaglia metro per metro in cui ogni trincea diventerebbe una fossa comune per i soldati dei due eserciti.

La distruzione dei depositi logistici e l’accerchiamento delle forze ucraine nel Donbass potrebbe porre le basi per una carneficina non dissimile da quella che si consumò in questa stessa regione tra le truppe sovietiche e tedesche nel 1943, oppure per il rilancio delle trattative in cui i russi potrebbero consentire il ritiro con onore verso ovest delle forze ucraine conseguendo gli obiettivi strategici che si erano posti: controllare le coste del Mare d’Azov e l’intero Donbass congiungendolo con la Crimea. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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