Ucraina, Cella: «In Europa e Asia equilibri e rapporti di forza cambiati Serve una nuova Yalta»

Ucraina, Cella: «In Europa e Asia equilibri e rapporti di forza cambiati Serve una nuova Yalta»
di Gigi Di Fiore
Mercoledì 13 Aprile 2022, 07:57 - Ultimo agg. 17:49
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Docente all'Università Cattolica a Milano, esperto di politica internazionale e storia della diplomazia, Giorgio Cella, ha pubblicato una «Storia e geopolitica della crisi ucraina».

Professore Cella, il nodo della guerra in Ucraina è il controllo della regione del Donbass?
«È evidente che la regione del Donbass rappresenti una concausa centrale nel generale attrito tra Occidente e Russia, ma non costituisce una giustificazione all'offensiva militare russa in Ucraina. Una regione già da otto anni al centro di un conflitto, su cui l'attenzione internazionale è andata negli anni scemando».

Un conflitto violento?
«Sì, una guerra, in cui, tra il 2014 e il 2015, ci sono state una serie di battaglie di altissima intensità. In otto anni, nel Donbass ci sono stati 13-14mila morti».

Perché tanta disattenzione?
«C'è chi sostiene che gli Stati Uniti abbiano soffiato sul fuoco, per propri interessi. La diplomazia statunitense ha sempre seguito una propria strategia in politica estera, ma bisogna anche ricordare la mancanza di una visione comune dell'Europa e della sua diplomazia su quanto è accaduto in Ucraina».

Un'assenza colpevole?
«Gli Stati Uniti sono lontani dal territorio ucraino, non così l'Unione europea che avrebbe dovuto assolvere a un compito etico e geopolitico di intervento diplomatico più convinto per cercare soluzioni sulla crisi nel Donbass.

Se si vogliono vedere le falle della politica in questa situazione, è evidente che l'Ue, anche se sappiamo che la sua proiezione in politica estera non ha ancora un peso geopolitico forte, avrebbe dovuto o potuto essere più incisiva nel trovare un compromesso tra le parti. Otto anni sono un periodo lungo...».

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Che altre motivazioni ha avuto l'invasione russa?
«In questo conflitto incidono anche ragioni personali. Putin vuole passare alla storia come il leader russo che ha ripreso il controllo sull'Ucraina, o parti di essa. Poi ha maturato un'idea di ritorno del grande impero russo, con la volontà di riportare il suo Paese all'influenza e potere internazionali che aveva fino al termine della guerra fredda».

È in corso un braccio di ferro di Putin con la Nato e quindi con gli Stati Uniti?
«La questione dell'espansione della Nato è un elemento di questa storia, ma va anche detto che l'Ucraina non era in procinto di divenire membro dell'alleanza in tempi brevi, anzi, questa era un'ipotesi remota».

Putin pensava a una guerra lampo in Ucraina?
«Sicuramente Putin non si aspettava una resistenza così estesa degli ucraini, con una preparazione militare che non immaginava. L'esercito russo ha avuto grosse perdite, anche ammesse dal portavoce di Putin, Peskov, e Putin stesso ha dovuto cambiare i vertici militari in una guerra che, nonostante la violenza degli attacchi, non è andata finora come era stato previsto».

Pensa che tutto finirà con la piena conquista del Donbass?
«È una delle ipotesi. Un'altra fissa nel nove maggio la fine dell'invasione. Una data simbolica, che ricorda la vittoria nella difesa russa contro i nazisti nella seconda guerra mondiale. Putin potrebbe associare le due date, per farne un unico simbolo di vittoria per la Russia, e per la sua leadership».

Se tutto viene deciso da Putin, sono inutili le trattative?
«Da storico delle relazioni internazionali e studioso di storia diplomatica, penso che le trattative non siano mai inutili. Il filo del dialogo va tenuto sempre aperto, anche se è sempre il campo di guerra a determinare gli esiti e i tempi dei negoziati».

Che scenari prevede?
«È possibile uno scenario tragico, con l'allargamento della guerra ai Paesi confinanti della Nato, ma anche una via di mezzo con la Russia interessata a rendere costante l'instabilità dell'Ucraina, in un grande conflitto congelato. Poi, la terza ipotesi più ottimistica con la fine della guerra legata alla conquista russa della sola regione del Donbass e un eventuale riconoscimento internazionale della Crimea».

La guerra in Ucraina ha reso necessario ridiscutere gli equilibri europei?
«Sì, c'è stato un ritardo e un limite della diplomazia internazionale. Dopo il crollo del muro di Berlino, la fine della guerra fredda e la disgregazione dell'Unione sovietica, la realtà europea è mutata, diventando cosa diversa da quella disegnata dagli accordi di Yalta. Sarebbe necessaria una nuova conferenza europea, un nuovo Congresso di Vienna, anche con tempi lunghi, per discutere e trovare intese sugli equilibri di un continente che ha vissuto crisi e trasformazioni geopolitiche profonde».

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