Da una settimana, l’incubo quotidiano continuo sono sempre le bombe sganciate dagli aerei russi. Oksana Kononska, poco più che cinquantenne, è a Malyn, città dell’Ucraina occidentale a cento chilometri da Kiev. Un diploma dell’istituto tecnico per il turismo, dopo aver vissuto e lavorato per 20 anni a Napoli, dove ha anche seguito un corso di mediatrice culturale alla comunità di Sant’Eframo, da dicembre Oksana è tornata per scelta in Ucraina. Ha voluto stare accanto ai genitori e al figlio sposato, ingegnere informatico. «È stata una scelta, dopo aver trovato un lavoro nel mio Paese d’origine» spiega a telefono. E racconta della fuga in auto, con il figlio e il fratello, dalla periferia di Kiev, prima che la città fosse totalmente circondata dai russi. Le dieci ore in auto, incolonnata in un serpente di veicoli in fuga, per arrivare a Malyn. La città dei consuoceri. Ma da giorni, in Ucraina, la guerra è ovunque. «Non siamo assediati via terra dai soldati, le truppe russe in realtà sono solo attorno a Kiev. Nella altre città, stanno facendo soprattutto bombardamenti a distanza. Come a Malyn, dove corriamo di continuo nei rifugi per ripararci».
Gli allarmi non vengono dati dalle sirene, ma da avvisi sui telefonini che informano sui pericoli in arrivo. Oksana, con i due genitori anziani, corre nel rifugio che è di fronte al loro appartamento. È in realtà una cantina sotto terra, dove chi vi fugge porta l’acqua e del cibo per resistere più tempo. «Una volta, anche a Malyn, c’erano veri rifugi anti bombe lasciati dalla guerra mondiale. Poi, con la nuova edilizia, sono stati eliminati. Oggi si sfruttano quelli rimasti e le cantine». Le informazioni continue arrivano dalla televisione. I canali ucraini sono stati unificati in una sola rete, che fornisce notiziari 24 ore su 24 con giornalisti che si alternano, comunicati e filmati. «Ci dicono di non credere alle fake news messe in giro, soprattutto dai russi. Non è vero che le città sono cadute. I russi che assediano Kiev sono milizie professioniste, non reclute. Spietati, sappiamo che sgozzano chi prendono e ormai non fanno passare i civili. Sparano. Quattro amici trentenni di mio figlio scappavano in auto da Kiev. I soldati hanno sparato e li hanno uccisi tutti».
A Malyn l’ultimo allarme bombe è precedente di un’ora la telefonata a Oksana dall’Italia. Distrutto il centro, distrutto il ponte, danneggiata la chiesa ortodossa e molte case. C’è ancora cibo, il pane si trova, ma bisogna fare file di ore per prenderlo.
I pagamenti su qualsiasi bene o servizio vengono fatti solo online. Spiega Oksana: «In città si vedono solo donne e anziani. Gli uomini sono a disposizione per l’arruolamento. Per ora, combattono solo le truppe professioniste, ma tutti gli uomini devono essere disponibili di riserva. È così anche per mio figlio, che continua a lavorare, anche se per pochi minuti, da remoto perché la sua attività è con una multinazionale. Con la moglie, si è spostato in un’altra città». La guerra e l’invasione russa non ha diviso, ma unito gli ucraini. «Non credevo, ma la reazione è stata questa, siamo tutti diventati nazionalisti. Si confezionano molotov e si prepara cibo o generi necessari ai soldati che combattono. E poi si costruiscono barriere e si puliscono le strade. Tutti si sentono mobilitati». La corrente elettrica a Malyn c’è, come in altre città. A Kiev, invece, manca. Poi, una convinzione che circola in tutti, con orgoglio: «Dai documenti militari, risulta che Putin pensava di conquistare l’Ucraina e Kiev in due giorni. Non è stato così. È dura, ma continuiamo a vivere nel nostro Paese.