Si sa che ci sono, ma sui numeri non esiste certezza. Spirito di avventura, voglia di fuga anche da problemi giudiziari, desiderio di rivalsa, e a combattere in Ucraina ci sono anche degli italiani. Schierati da una parte e dell’altra, con gli ucraini o con i russi. Il nome ora più noto è quello del ventinovenne Ivan Luca Vavassori, l’ex calciatore dato per morto a Mariupol tre giorni fa, che ha invece fatto sapere, attraverso il suo profilo Instagram, di essere vivo in un ospedale. Il giovane, figlio adottivo dell’imprenditore Pietro Vavassori e della moglie Alessandra Sgarella, che fu vittima di un sequestro in Calabria, si è arruolato poche settimane fa. Vavassori ha giocato in serie C in più squadre italiane tra cui il Legnano e poi in un club in Bolivia. Volontario nelle brigate internazionali ucraine, è stato ribattezzato «comandante Rome» o anche «aquila nera». Una storia particolare. Dopo le esperienze calcistiche, si era arruolato nella legione straniera, per poi decidere di correre volontario in Ucraina. E la vicenda di Vavassori è stato il punto di partenza dell’indagine conoscitiva, avviata dalla Procura di Milano, per capire se esiste in Italia un giro di arruolamenti illegali e di mercenari con tariffario.
Per ora, la realtà dei combattenti italiani nella guerra in Ucraina è ancora confusa. In una comunicazione ufficiale, undici giorni fa il governo russo ha parlato di «61 mercenari italiani», attivi nell’esercito ucraino. Di questi, dieci sarebbero tornati in Italia mentre undici sarebbero stati uccisi in battaglia. Ma, attraverso sue informazioni, l’intelligence italiana arriva ad altri dati che portano a diciassette gli italiani partiti per combattere in Ucraina, di cui nove con gli ucraini e otto con i russi. Tra questi, l’unico nome dato per certo è quello di Edy Ongaro, morto il 31 marzo. Faceva parte dell’unità 404 filorussa, in azione nel Donbass dal 2015 con le forze separatiste. Ongaro militava nella brigata Prizrak, che sta per «fantasma», tra le più pericolose della Repubblica popolare di Lugansk. Di dichiarata fede comunista, Ongaro, 46 anni e della provincia di Venezia, nome di battaglia «Bozambo», era filo-russo sin dal 2015 quando si era arruolato nel Donbass. Alla sua morte, così lo ha ricordato su Facebook il collettivo Stella Rossa - Nordest cui apparteneva: «È scomparso in battaglia mentre difendeva il suo amato Donbass dalla barbarie nazista».
Ongaro aveva lasciato l’Italia, per una serie di problemi giudiziari. Scelta analoga a favore dei russi, ma da sponda ideologica opposta, l’ha fatta Andrea Palmeri, 42 anni, di dichiarate simpatie fasciste. È stato leader dei Bulldog, il gruppo degli ultras di Lucca tra le tifoserie più legate alla destra in Italia.
Secondo i dati dell’Ispi, al momento dell’invasione russa in Ucraina gli italiani impegnati nei combattimenti in Donbass erano tra i 50 e i 60. Non si tratterebbe però di brigate organizzate, ma di singoli volontari. Anche se il governo ucraino ha organizzato da tempo una Legione internazionale ausiliaria all’esercito regolare. E tra i nomi dei volontari di questa Legione ucraina, figura Giulia Schiff, 23enne pilota dell’Aeronautica militare espulsa nel 2018, ex allieva a Pozzuoli, autrice di varie denunce contro dei commilitoni accusati di nonnismo e mobbing. Originaria della provincia di Venezia, è volontaria delle Forze Speciali della Legione Internazionale in Ucraina, unica donna del gruppo. Pubblica su Instagram storie legate alla sua esperienza.
Nel numero imprecisato dei foreign fighters italiani potrebbero essere calcolati anche volontari partiti da anni per combattere in Donbass, come il 52enne Giuseppe Donini, originario della provincia di Ravenna, schierato con l’Ucraina. Di certo, se venissero accertati arruolamenti mercenari, gli italiani rischiano di essere messi sotto inchiesta per l’articolo 288 del nostro codice penale che vieta attività militari a favore di Paesi stranieri, prevedendo una pena dai 4 ai 15 anni.