Lo show anti-italiano modello Granducato: l'eurovolgarità diventa un assist per Salvini

Lo show anti-italiano modello Granducato: l'eurovolgarità diventa un assist per Salvini
di Mario Ajello
Sabato 15 Settembre 2018, 08:00 - Ultimo agg. 10:30
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«Conoscevo un uomo che mentre parlava metteva le dita nel naso. Fosse almeno stato il suo!». Karl Kraus avrebbe potuto adattare questo aforisma al lussemburghese Jean Asselbron. Il quale a un certo punto, nel pieno della stizza, mentre gesticolava e si dimenava come fosse la caricatura dell'uomo mediterraneo nella retorica nord-europea, con il dito del braccio teso è quasi arrivato a toccare la guancia di Matteo Salvini. Ingiuriandolo dopo averlo interrotto più volte maleducatamente. E alla fine, nella delusione di non vedersi rispondere in maniera sguaiata e di non aver provocato né rabbia né derisione da parte del collega italiano, con voce roca da taverniere (è rubizzo come Juncker il ministro del piccolo Granducato) o da attore in disarmo (con quel baffo afflosciato e poco espressivo, con la camicia troppo abbondante e una malriposta superiorità da euro-sapiente), lancia il suo epiteto: «Merde alors!». Che è insieme un'imprecazione e un insulto. A dir poco inusuale in una riunione tra ministri.
 


Salvini spiega la sua politica sull'immigrazione, e lui lo interrompe: «Bla.. bla... bla...». E anche uno sbeffeggiante: «Su, dai, su, dai...». Salvini gli lancia un'occhiata che potrebbe smontare l'arroganza del collega, se non fosse che la superbia è il più difficilmente sanabile tra tutti i vizi. E il vizio di maltrattare l'Italia dall'alto in basso, somministrandole maldestre lezioncine non richieste sui migranti e sul resto, è ultimamente il più diffuso tra i presunti benpensanti del politicamente corretto. Quelli che hanno trovato in Asselborn la loro caricatura ma anche il loro specchio.
 
Il ministro-mandarino di questo staterello (il Lussemburgo è piccolo 2500 km quadrati, con una popolazione di appena 550mila abitanti e vorrebbe dire all'Italia come comportarsi!) è ministro degli esteri da 14 anni, in quota Partito Socialista Operaio. Ed è stato anche vicepremier e figura inamovibile dal potere di questo fazzolettino di terra dove si fa la voce grossa come è tipico dei piccoli. E Asselborn è lo stesso che, con finezza simile a quella usata ieri, rivolto a Viktor Orban, che anche lui chiama Viktator, tuonò: «Tratti i migranti peggio degli animali!». E così chiese l'espulsione dell'Ungheria dalla Ue, due anni fa.

E non si tratta di tendenza alla gaffe. Ma di disprezzo culturale e antropologico verso l'Italia in personaggi come Asselborn, o come Pierre Moscovici che straparla di «piccoli Mussolini», o come l'altro commissario europeo, Oettinger, che non perde occasione di insolentire il nostro Paese. Arrivando perfino a proporre, tempo fa, di esporre a mezz'asta davanti alle istituzioni comunitarie le bandiere degli Stati, compreso questo, considerati inadempienti ai dettami finanziari di Bruxelles. Figure così fanno più male che bene, naturalmente, all'Europa. E Salvini, nel confronto con il mandarino lussemburghese e ex sindacalista (certi modi più da lotta che da governo deve averli ereditati dalle battaglie sociali e infatti quasi sbatte il pugno sul tavolo come un agitatore mentre prova a zittire il collega italiano), ha avuto tutto da guadagnare. Più quello impediva di farlo parlare, attaccandosi al microfono, più faceva svettare l'imperturbabilità dell'avversario. Salvini neanche è dovuto spingersi a una reazione come quella proverbiale che ebbe Berlusconi contro il socialdemocratico tedesco Martin Schulz, il quale dopo avere ingiuriato il premier italiano e il suo Paese si vide replicare: «Lei è un kapò». Salvini ha cercato soltanto di proseguire nel suo discorso. E il tutto ha dato la sensazione di un ribaltamento.

Il presunto rappresentante dell'Europa composta, ragionevole, politicamente corretta, rispettosa della libertà d'opinione, gelosa della rispettabilità liberale contro l'avvento dei cannibali sovranisti s'è comportato alla maniera di quei barbari illiberali che nella vulgata pseudo-europeista sarebbero Salvini e i suoi simili. Quella tra populismo e anti-populismo, in certa retorica andante, viene vista anche come una battaglia tra chi sa stare a tavola e chi no, tra chi fa parlare gli altri e chi vorrebbe chiudere la bocca a tutti imponendo soltanto la propria propaganda. Ma le parti assegnate da chi si sente migliore - questo dimostra il piccolo grande caso di ieri - evidentemente non corrispondono alla realtà. E il monopolio delle buone maniere, che certo establishment attribuisce a se stesso, non sta sempre o non sta affatto in quella parte che crede di incarnarlo.

La volgarità di Asselborn fa il paio, per esempio, con il nuovo titolo del Financial Times così concepito: «L'abbaiare dei populisti italiani è peggiore del loro morso».
E finché si farà ricorso a questo mix di sgarrupamento linguistico, prevaricazione intellettuale e presunzione pedagogico-politica (fino alla barzelletta del piccolo Lussemburgo che impartisce all'Italia lezioni di solidarietà e di multiculturalismo), i populisti continueranno a spopolare.

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