Antonio Tajani ministro degli Esteri: «Lotta sempre più dura contro la criminalità»

«Il salario minimo rischia di spingere verso il basso le retribuzioni»

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani
di Adolfo Pappalardo
Venerdì 21 Luglio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 22 Luglio, 09:46
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«Il salario minimo rischia di spingere verso il basso le retribuzioni. Bisogna invece tagliare la pressione fiscale sulle voci aggiuntive degli stipendi: noi vogliamo dare cose concrete ai lavoratori», spiega il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani annunciando a breve un provvedimento del governo in tal senso. Dopo invece sarà il turno di una riforma della giustizia e una tributaria-fiscale: «Per permettere alle imprese di poter lavorare meglio e di più e quindi pagare meglio i propri dipendenti», ribadisce il ministro che stamani è a Salerno (nel pomeriggio invece a Giffoni per il Festival del cinema) perché sarà intitolata a Diego Tajani, suo prozio, una torre della Cittadella giudiziaria.

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Ministro, il suo avo fu titolare della Giustizia, celebre avvocato, ma soprattutto uno dei primi a puntare il dito contro le collusioni della mafia con la politica.
«Era il fratello del mio bisnonno e denunciò apertamente il fenomeno della mafia e i legami con i colletti bianchi.

Celebre un suo discorso in Parlamento: era il 1875, quattordici anni dopo l'Unità d'Italia».

Eppure in queste settimane ci sono state polemiche perché il governo voleva modificare il reato di associazione esterna.
«Qualcuno ha strumentalizzato le parole del collega Nordio. Lui, che sta lavorando bene, non ha mai detto che bisognava mettere nel programma di governo l'abolizione dell'associazione esterna, ma una cosa diversa, che andava nella direzione della lotta più dura contro la mafia: fare in modo che non ci sia una norma evanescente, ma che il tipo di reato sia ben chiaro nel codice. La lotta alla mafia non verrà mai abbandonata e, come dice il presidente Mattarella, occorre combattere proprio quelle zone d'ombra che sono l'humus dei clan».

Patrick Zaki è appena tornato libero. Qualcuno però ipotizza che ci possa essere stato un baratto con il caso Regeni.
«Nessun baratto e nessuna trattativa sottobanco. Il governo è invece riuscito con un lungo lavoro ad assicurare il rientro in Italia di un giovane ricercatore che rischiava di stare in carcere. Si può dire ciò che si vuole ma siamo persone serie e non facciamo baratti di questo tipo. E anzi continueremo a chiedere che si faccia luce sulla vicenda di Giulio Regeni come abbiamo sempre fatto. Io stesso sono stato due volte in Egitto in questi msi e con Al Sisi ho avuto rassicurazioni su entrambe le questioni. Parlare di scambi o altro sarebbe pura follia: abbiamo continuato a tenere alta l'attenzione su questo caso e su quello di Regeni dimostrando di risolvere anche questioni più delicate come quello di Alessia Piperno detenuta ingiustamente in Iran dai pasdaran. Abbiamo lavorato di diplomazia e senza clamori, a cominciare dal presidente del Consiglio durante il vertice di novembre a Sharm el-Sheikh, e abbiamo portato un importante risultato a casa. Esulterei per questo ed eviterei le polemiche».

Si è riunito il Consiglio Ue degli Esteri a Bruxelles: in cima alla lista rimane la guerra all'Ucraina ma dobbiamo preoccuparci del blocco del grano voluto dalla Russia?
«La vicenda del grano è nevralgica perché porterà ad un aumento dei prezzi. Non è un problema per l'Italia o l'Europa ma rischia di essere una tragedia per i paesi africani nei prossimi mesi. Noi, con i partner europei, continueremo a lavorare perché il corridoio di approvvigionamento attraverso la Romania possa continuare a operare. Per noi i due punti fondamentali in questo momento sono la sicurezza della centrale di Zaporizhzhia e la sicurezza del trasporto dei cereali verso i popoli africani. Un argomento, quest'ultimo, al centro del vertice della sicurezza alimentare della Fao di Roma della prossima settimana».

Come è lo stato di salute del governo? In queste settimane tiene banco, in particolare, la vicenda della sua collega Santanché.
«L'esecutivo al di là di alcune vicende giudiziarie, che avranno il loro naturale corso nelle sedie opportune, gode di ottima salute. Andiamo avanti portando a casa risultati concreti al di là di quello che dice la propaganda dell'opposizione. Capisco il loro lavoro ma i risultati sono tangibili».

Potrebbe profilarsi un autunno caldo: con il centrosinistra e la Cgil pronti a scendere in piazza per il salario minimo.
«I lavoratori meritano un salario ricco non un salario minimo come chiede l'opposizione».

Molti Paesi europei l'adottano.
«L'Ue dice che con una contrattazione collettiva superiore all'80 per cento non serve un salario minimo, che di fatto è povero. Ed è proprio il caso del nostro Paese dove si potrebbe rischiare il paradosso di far scendere il salario di un metalmeccanico che, già all'inizio della sua carriera lavorativa, prende più di 9 euro l'ora. I minimi ci sono in paesi come la Germania dove però non ci sono le contrattazioni collettive se non nell'ambito dei Lander».

Quale potrebbe essere la soluzione?
«Serve abbattere il cuneo fiscale e detassare completamente le voci aggiuntive degli stipendi a cominciare dalle tredicesime. Questa è la soluzione non il salario minimo che rischia di acuire il problema invece che risolverlo. Io invece sono per dare una prospettiva concreta ai dipendenti che lavorano ed hanno diritto a stipendi più ricchi. Accanto serve, ancora, una grande rivoluzione liberale che tocchi la giustizia e tutta la materia fiscale e tributaria».

In che senso?
«In Italia abbiamo circa 100 tributi da pagare ma appena 16 sono quelli che fanno realmente cassa portando il 96 per cento degli introiti allo Stato: il resto è addirittura complicato e costoso incassarlo. Serve una riforma in questo campo come per la giustizia, a cominciare da quella civile i cui ritardi ci costano ben 3 punti di Pil. Tutto per permettere alle imprese di vivere in un sistema liberale per lavorare meglio e pagare meglio i propri dipendenti. Accontentarsi del salario minimo, come vuole la sinistra, sarebbe una follia».

Il problema sono i tempi.
«Il cuneo fiscale si potrebbe abbattere in pochi mesi e si metterebbero in moto più soldi e senza danneggiare le casse dello Stato. E un primo esempio di aiuto concreto alle imprese lo abbiamo messo in campo proprio nel Mezzogiorno che, grazie a questo governo, è ora una zona Zes. Per creare le migliori condizioni di sviluppo». 

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