Caso Marrazzo, interrogato D'Autilia:
«Non c'entro con il ricatto»

L'ex presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo
L'ex presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo
Martedì 3 Novembre 2009, 12:59 - Ultimo agg. 2 Dicembre, 22:41
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ROMA (3 novembre) - Con il ricatto non c'entro nulla. Lo ha detto Donato D'Autilia, il quinto carabiniere indagato nella vicenda Marrazzo, rendendo dichiarazioni spontanee ai pm che indagano sul presunto ricatto all'ex presidente della Regione Lazio. D'Autilia, indagato per ricettazione, ha spiegato al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al sostituto Rodolfo Sabelli, assistito dall'avvocato Remo Pannain, di conoscere i tre carabinieri in carcere per il ricatto a Marrazzo (Nicola Testini, Carlo Tagliente e Luciano Simeone) ma di non avere rapporti con loro da diverso tempo.



Secondo la sua difesa D'Autilia non saprebbe nulla del video che ritrae Marrazzo con un trans. «Non vedo i miei colleghi da tempo - ha detto D'Autilia - ne so nulla di video e ricatti». Il carabiniere ha spiegato anche di essere stato diverso tempo ai domiciliari e anche per questo di non aver avuto contatti con i suoi ex colleghi. Secondo le accuse della procura, e la testimonianza del fotografo Max Scarfone (uno degli intermediari a cui si rivolsero i militari in carcere per commercializzare il video) e i, giornalista di Oggi Giangavino Sulas, D'Autilia mostrò il video su un pc in una casa sulla via Cassia.



Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i tre carabinieri in carcere (Testini, Simeone e Tagliente). Assistiti dal loro legale, l'avvocato Marina Lo Faro, saranno domani in udienza al Riesame che dovrà valutare la loro richiesta di annullamento della custodia cautelare in carcere. I tre sono accusati di estorsione, rapina, violazione di domicilio, interferenza illecita nella vita privata e violazione della legge sugli stupefacenti. Nell'inchiesta c'è un quarto indagato, il carabinieri Antonio Tamburrino, accusato di ricettazione del video.



Jennifer: così ho visto morire Cafasso. È stato testimone diretto della morte di Gianguarino Cafasso, il pusher dei trans indicato dai carabinieri coinvolti nel caso Marrazzo come l'autore del video girato in via Gradoli. Anche per questo motivo il transessuale Jennifer è stato interrogato dai magistrati romani. Cafasso è morto nello scorso settembre per un arresto cardiaco dovuto probabilmente all'assunzione di cocaina proprio mentre era in compagnia di Jennifer, con il quale aveva una relazione.



Convocato in procura Jennifer non avrebbe fornito elementi utili per fare luce sulla vicenda Marrazzo, ma ha ripercorso i momenti culminati nella morte di Cafasso. In particolare Jennifer avrebbe affermato che il pusher è deceduto dopo aver consumato droga insieme con lui in un hotel sulla via Salaria. Quasi certamente a provocare la morte di Cafasso sarebbero state anche le sue condizioni di salute e la sua obesità. Gli inquirenti vogliono comunque fare luce su quella morte ed è per questo motivo che hanno disposto una serie di accertamenti medico legali e sono tuttora in attesa dei risultati delle analisi tossicologiche. A differenza di altri trans, Jennifer non è ritenuto un teste di giustizia dagli inquirenti. Trattandosi di persona presente in Italia clandestinamente è destinato ad essere espulso.
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