Emilano: «Concorso flop per il Sud, va rifatto; la Pa deve pagare meglio»

Emilano: «Concorso flop per il Sud, va rifatto; la Pa deve pagare meglio»
di Nando Santonastaso
Domenica 4 Luglio 2021, 09:03
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Presidente Emiliano, il flop del Concorso Sud, con appena 1.400 idonei su 2800 posti nelle PA del Mezzogiorno e una bassissima percentuale di partecipanti, che segnale è? Si può fare un concorso al Sud per specialisti tecnici offrendo contratti a tempo determinato?
«Il segnale probabilmente indica che la pubblica amministrazione non è più così attrattiva se il livello di remunerazione non è sufficientemente elevato risponde Michele Emiliano, presidente della Regione Puglia -. Bisogna capire se c'è una spinta dei giovani ad autoimprendere o a lavorare nel settore privato piuttosto che ad avere il cosiddetto posto fisso nel pubblico. Se si facesse un concorso a tempo indeterminato per tecnici e volessimo selezionare le migliori professionalità, dovremmo pagarli bene, perché di laureati bravi ce ne sono tantissimi e potrebbero dare un contributo straordinario, ma dovremmo immaginare un inquadramento salariale più adeguato».


Gli enti locali che attendevano forze fresche per affrontare i nuovi impegni del Pnrr come possono ora essere aiutati?
«Bisognerà ripetere subito i concorsi e renderli più attrattivi, anche trasferendo la competenza di svolgerli alle Regioni che potrebbero dare loro qualche speranza in più di proseguire il lavoro anche oltre il Pnrr per esempio utilizzando queste graduatorie per le loro future necessità».


Il governo dice che da solo il Pnrr non basterà ad eliminare il divario Nord-Sud. Cos'altro deve essere messo in campo, allora?
«Il divario Nord-Sud è legato a tanti fattori ed è talmente radicato che il Pnrr non sarà in grado da solo di colmarlo anche perché, come è noto, non tutti i soldi del Pnrr verranno spesi nel Mezzogiorno.

Noi continuiamo a sostenere che il Recovery dovrebbe essere incentrato sul recupero dei livelli essenziali di prestazione. La sperequazione Nord-Sud sta nei servizi socio-assistenziali, nelle infrastrutture, nel diverso livello di sviluppo economico ma sta anche nei servizi essenziali che un cittadino del Sud oggi ha in maniera ridotta rispetto a un cittadino del Nord».


Ma lei crede che la governance decisa dal governo per la gestione delle risorse del Pnrr sia la migliore possibile o le Regioni dovrebbero avere più spazio nella catena decisionale?
«Le Regioni sono uno strumento fondamentale per garantire la spesa del Pnrr. I ministeri da soli o le grandi stazioni appaltanti nazionali non sono in grado di garantire il raggiungimento dei livelli di spesa attesi dal Pnrr. Solo una collaborazione attraverso le Regioni con gli altri enti pubblici territoriali può dare questa garanzia di spesa. Quindi non c'è una volontà di avere un ruolo fine a se stesso, ma di mettere a disposizione le tante esperienze e capacità che ci sono nel Mezzogiorno. Siamo consapevoli che non tutte le Regioni italiane spendono come dovrebbero: il sistema della Conferenza delle regioni potrebbe creare una modalità di supporto della spesa».


Come, presidente?
«Ad esempio schierando le autorità di gestione, cioè gli uomini e le donne che oggi guidano le task force che nelle varie Regioni gestiscono i fondi comunitari. Professionisti straordinari che potrebbero essere messi in rete e rappresentare il punto di riferimento e il terminale delle regioni nei rapporti con il governo».
Giovani e donne sono gli anelli deboli della catena soprattutto al Sud. Come in concreto dovrebbero cambiare le politiche attive del lavoro?
«Le politiche attive del lavoro dovrebbero garantire un reale avvicinamento tra imprese e formazione. La Regione Puglia sta varando un sistema innovativo che consentirà alle imprese che chiedono finanziamenti per lo sviluppo di farsi finanziare un programma di formazione interno, utilizzando i fondi dei programmi comunitari anche per formare i lavoratori secondo le proprie esigenze. La Puglia è inoltre sede di alcune sperimentazioni di grosse società che, sfruttando il livello di preparazione e l'avviamento al lavoro di alcune categorie professionali di donne e uomini, si stanno delocalizzando. Questo perché l'esperienza della pandemia ha portato ad un aumento del lavoro di backoffice, che può essere fatto dalle regioni del Mezzogiorno per la gestione di clienti che si trovano anche fuori regione, sfruttando proprio il livello di formazione di queste donne e uomini e migliorandolo. È un'opportunità per tutte le aziende che intendono investire nel Mezzogiorno. E il southworking potrebbe spostare qui tanti lavoratori».


Digitale e transizione Green, c'è spazio per il Sud?
«Il digitale serve a far sviluppare tutto il Paese, non solo il Mezzogiorno. Il digital divide è un problema che riguarda tutta l'Italia. Informatizzare e digitalizzare il sistema socio economico italiano è una sfida importante e non credo sia un caso sia stato scelto come ministro un uomo come Colao. Sul Green: il Mezzogiorno ha spesso dovuto fare della scarsità un elemento di forza, e questa scarsità di mezzi spesso è stata attutita proprio dall'ambiente. Se per anni l'ambiente è stato spesso considerato un ostacolo allo sviluppo, adesso il paradigma sta cambiando. E più l'ambiente è tutelato e custodito più crescono le occasioni di crescita, non solo in settori come il turismo, me per l'economia in generale. Perché salute, benessere, qualità della vita alta e bellezza sono fattori, oggi più che mai, di grandissima attrattività».

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