M5S, la rivincita degli ortodossi: «Dialogo con il Pd»

M5S, la rivincita degli ortodossi: «Dialogo con il Pd»
di Stefania Piras
Venerdì 20 Aprile 2018, 09:53
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Testacoda Salvini-Di Maio. Il segretario del Carroccio non riesce a intestarsi la delega piena dal centrodestra e il capo politico del M5S non vuole terzi incomodi. Tra i due c'è stata una telefonata mattutina: «partiamo dal programma e iniziamo a scrivere questo benedetto contratto». Il punto più estremo del compromesso a cui si sentiva pronto Luigi Di Maio era tralasciare momentaneamente il nodo della premiership e l'esistenza della coalizione: «Non sentirti obbligato a rompere ora Matteo».

Di Maio però, anche soprattutto per evitare l'accelerazione di un incarico esplorativo a Roberto Fico che scalderebbe a temperature troppo elevate un forno con una pagnotta ancora semi-congelata (il Pd) e soprattutto decapiterebbe la sua premiership, ha posto la condizione di poter interloquire con il solo Salvini e in cambio ha accettato per la prima volta pubblicamente il sostegno di Fi e Fdi pur non volendoli coinvolgere nel suo tête-à-tête con Salvini.
 
La presidente Casellati poi però ha riferito a Di Maio che il tavolo se esiste, può esistere solo a quattro «perché il centrodestra è composto da varie anime». «No, grazie», ha risposto in sintesi Di Maio che già aveva rifiutato la telefonata del Cavaliere quando era partito il dialogo sugli uffici di presidenza che infatti Salvini e il capo politico del M5S hanno gestito completamente a due. E lo ha detto ieri a palazzo Giustiniani: «Non ci si può chiedere di ricominciare daccapo con tavoli che già all'epoca dell'elezione dei presidenti delle Camere non avevamo condiviso». No a un tavolo con Berlusconi quindi, ma sì al sostegno esterno dei forzisti e soprattutto sì a rivisitare e legittimare il mondo azzurro con le lenti del M5S. Questo è il vero compromesso storico che vorrebbe operare Di Maio.

La logica proposta da Di Maio era infatti quella applicata per la presidenza delle Camere: «No a Romani, sì a profili come Bernini, Casellati e simili». In quei profili simili c'è il punto massimo di collaborazione di Di Maio. Ma anche questo accostarsi al «male assoluto», così è considerata Fi e Berlusconi non da Di Maio ma dai suoi colleghi/segretari, lo ha esposto a critiche pesantissime. Ieri le uniche voci squillanti erano quelle della sepolta corrente ortodossa. Il senatore Nicola Morra dopo aver messo in guardia da un patto del Nazareno ter, esultava e invitava a guardare le bollicine del Pd che secondo lui frizzano d'amore per il M5S. «All'interno del Pd c'è una dialettica che si sta facendo ogni giorno di più effervescente». Ma quella dialettica dem se sarà intercettata non sarà grazie a Di Maio ma a Roberto Fico. Ed è un segnale se i vecchi falchi tornano a parlare e guardano inorriditi le trattative. Leggere per credere la senatrice Paola Nugnes che invoca la comfort zone per eccellenza, la «rivoluzione culturale» come vero faro prima di arrivare Palazzo Chigi. La rivoluzione, o il governo del cambiamento, ora dovrà passare per il Pd.
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