Crisi di governo, Bassolino: «Asse tra le istituzioni per uno scatto del Paese»

Crisi di governo, Bassolino: «Asse tra le istituzioni per uno scatto del Paese»
di Generoso Picone
Giovedì 28 Gennaio 2021, 11:00
5 Minuti di Lettura

«Forza e coraggio». Antonio Bassolino ripete forse innanzitutto a se stesso l'invito rivoltogli dal ragazzo incrociato la mattina sul lungomare di Mergellina. «Forza e coraggio, ha ragione. Esattamente di questo abbiamo bisogno nel pieno di una crisi economica assolutamente senza precedenti intervenuta su un corpo sociale già gracile a causa di tanti anni di precarietà. Oggi sta producendo effetti devastanti anche sul piano dell'equilibrio psichico delle persone». Bassolino è profondamente scosso dalla tragica morte di Gianni De Luca, il dirigente storico della Cgil marito della stretta collaboratrice nelle giunte al Comune e alla Regione, Maria Fortuna Incostante: racconta di aver trascorso una notte insonne dopo aver saputo della scelta del sindacalista di togliersi la vita a 76 anni nella camera di un albergo di corso Meridionale. «Mi è sempre più chiaro che alle sofferenze sociali e civili si stanno aggiungendo quelle psichiche che aggravano disagi preesistenti. Soltanto chi come me ha attraversato momenti di estrema difficoltà può comprendere quanto sia serio misurarsi con questo fenomeno. Alle vecchie povertà si stanno sommando le nuove che riguardano ceti che fino a ieri si ritenevano al riparo e che ora sono travolti in pieno. A Napoli, nel Sud e anche in molti casi per la prima volta - nel Nord. Siamo di fronte al preludio di una nuova tempesta che si sta scatenando».

Video

Bassolino, è una preoccupazione che cade in un momento di gravi incertezze politiche: con un'emergenza sanitaria da Covid-19 ancora in corso e un'altra economica e sociale che si sta delineando il Paese è nel pieno di una crisi di governo. Le sembra la maniera migliore per affrontare questa fase?
«Rispondo indicando quale invece è la maniera migliore.

Recuperare, in questa tempesta, i fili del dialogo, della solidarietà e della comprensione. Riscoprire il senso del noi».

Un invito un po' troppo vago?
«No, al contrario. La sfida da affrontare è enorme e riguarda tutti, tutti i Paesi e lo è a maggior ragione per l'Italia che ha certamente tante virtù ma anche numerose fragilità e contraddizioni. Il governo, le istituzioni, le forze politiche e sociali, i cittadini durante la prima fase dell'emergenza hanno mostrato grande responsabilità. Insomma, hanno fatto e bene la loro parte. Dopo l'estate si è registrato un rilassamento complessivo che ha fatto correre il rischio di vanificare gli sforzi compiuti, fino a giungere a una stretta. In primo luogo il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, il quale nella prima fase aveva retto, avrebbe dovuto comprendere il bisogno di un cambio di passo e assumere lui, di concerto con il Capo dello Stato e le forze della maggioranza, una iniziativa che consentisse la svolta. Avrebbe dovuto farlo anche dopo l'iniziativa di Italia Viva con le dimissioni dei suoi ministri».

Invece Conte si è chiuso in un atteggiamento difensivo?
«Ma ciò evidentemente non può bastare. Serve uno scatto in avanti che recuperi il sentimento di solidarietà della prima emergenza ed esalti il meglio espresso in quel periodo. Insomma: è indispensabile un governo più forte nei numeri, nel sostegno della base e nella struttura, che metta al riparo la maggioranza dalle turbolenze parlamentari e consenta di superare le difficoltà e acquisti una maggiore consistenza nel dialogo con il Paese. Tutti si rendono conto che la posta in gioco è il destino dell'Italia».

Dall'Europa giungono segnali di eufemistica apprensione...
«C'è grande preoccupazione, altro che. I livelli sovranazionali sono in attesa e noi dobbiamo mostrarci all'altezza dei compiti. L'Europa ha effettuato scelte che un anno fa sarebbero state impensabili, per la quantità e la qualità delle risorse destinate con il Next Generation Ue, il Recovery Fund. Merito del governo italiano, delle forze parlamentari, del ruolo svolto a Bruxelles da Paolo Gentiloni e David Sassoli che hanno saputo muoversi sulla traccia dell'operato di Romano Prodi. Ora, però, sta a noi: dobbiamo essere in grado di raccogliere una sfida dal cui esito dipenderà il destino di tutti».

Quando dice noi a chi si riferisce?
«Alla rete che collega le Istituzioni e definisce una collaborazione virtuosa tra governo, Regioni e città. E dentro ogni istituzione c'è il rapporto tra maggioranza e opposizione, di qualsiasi segno esse siano, perché c'è un interesse nazionale che supera ogni contrapposizione di sorta. Questa è la linea di governo indispensabile per utilizzare bene i fondi del Recovery Fund sapendo che si tratterà di un piano che andrà al di là della durata degli esecutivi attuali e quindi inciderà a tutti i livelli. Si tratta allora di deporre le contrapposizioni e concentrarsi su sanità, scuola, infrastrutture materiali e immateriali, riforme della giustizia e della pubblica amministrazione. Il Mezzogiorno e la Campania ne avrebbero vitale giovamento. Non sfugge a nessuno la centralità che potrebbe avere il Polo di San Giovanni a Napoli nei nuovi processi di digitalizzazione e la straordinaria opportunità che verrebbe offerta, per esempio, al Porto di Napoli rilanciandosi come un polo strategico nella geografia produttiva di un mondo in cambiamento: proiettandosi, cioè, dal Mediterraneo verso la Cina e l'India e valorizzarsi sotto i profili industriale, commerciale, turistico e dei trasporti».

Lei sta caricando sul Next Generation Ue il peso di una riforma generale.
«Perché, che cos'altro rappresenta il Recovery Fund se non l'occasione per realizzarla? Innanzitutto attraverso una riforma della politica per rafforzare il senso della comunità, dell'appartenenza, del Paese. Questa è l'ambizione che dobbiamo avere».

Altrimenti?
«È obbligatorio evitare la morta gora, la sopravvivenza quotidiana che spingerebbe esclusivamente verso il basso. Sarebbe il peggio e va compiuto ogni sforzo nel tentativo di trovare soluzioni adeguate. Se non si dovesse riuscire, ma soltanto in ultima istanza, non rimarrebbero che le elezioni». 

© RIPRODUZIONE RISERVATA