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Elezioni 2022, tutti i nodi del Mezzogiorno dal federalismo alla fiscalità e al reddito di cittadinanza

di Nando Santonastaso
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 24 Agosto 2022, 11:20 - Ultimo agg. : 25 Agosto, 07:30
7 Minuti di Lettura

C'è voluta la gravità di una crisi energetica come quella esplosa con la guerra in Ucraina (ma anche prima) per riportare l'attenzione sulla naturale candidatura del Mezzogiorno ad hub energetico del Paese e dell'Europa. Con il vantaggio non solo di essere l'unico terminale per il gas proveniente dall'Africa attraverso il Mediterraneo ma di possedere un tesoro pressoché infinito come quello prodotto dalle fonti rinnovabili dell'eolico e del solare che rappresentano un tassello strategico per l'energia del futuro, persino a prescindere dall'addio al gas di Mosca.

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Eppure, si fa fatica a leggere nei programmi dei principali partiti il riconoscimento di questa peculiarità (tra le eccezioni il Terzo Polo) che va ben oltre il richiamo alla centralità della transizione energetica, presente in ogni documento. È invece difficile negare che si tratta di un autentico valore aggiunto, prezioso soprattutto perché non diffuso in tutto il Paese e dunque meritevole di un'attenzione ben diversa da quella scontata e molto superficiale di questi tempi. Dire che la questione energetica italiana passa soprattutto per il Mezzogiorno non è affatto un'esagerazione. Ma dirlo e basta, senza approfondirne i risvolti in termini di sviluppo industriale e di ricasco economico, occupazionale e ambientale per il Mezzogiorno, dà la misura di quanta fatica continui a fare la politica per assumere il Sud come priorità assoluta. 

Non sarebbe peraltro la prima volta: chi già 25 anni fa profetizzava che l'Europa avrebbe dovuto guardare più al Mediterraneo che all'Est può dire di averci visto giusto, salvo che non potersene nemmeno compiacere di fronte alle emergenze di questi tempi. 

Video

Federalismo

Lep e autonomia i nodi regionali 

«Piena attuazione della legge sul federalismo fiscale» si limita a sottolineare il programma della coalizione di centrodestra. Ma è in quello aggiuntivo della Lega che il tema dell'autonomia rafforzata, terreno di scontro sull'asse Nord-Sud, entra a vele spiegate: «L'autonomia si legge a pagina 148 - è una dimensione spirituale, un'autentica vocazione. È una questione di cultura politica, dunque. Chiedere più autonomia significa infatti accogliere il confronto e la competizione, che dovrebbe essere l'essenza del regionalismo a geometria variabile». Più prudente il Pd che peraltro non ha mai chiuso la porta alle richieste di Emilia- Romagna, Veneto e Lombardia: «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni potranno essere concesse nell'ambito di una legge quadro nazionale, solo previa definizione dei Lep. Sono comunque esclusi dalla differenziazione delle competenze regionali i grandi pilastri della cittadinanza, a partire dall'istruzione». Anche per il Terzo Polo «serve dare attuazione al dettato costituzionale sui Lep e portare a regime l'integrale allocazione dei finanziamenti statali in chiave perequativa». 

Grandi opere 

Ponte sullo Stretto, partiti divisi

I Romani ne parlavano già duemila anni fa. Il Ponte sullo Stretto, l’ever green per eccellenza di ogni tornata elettorale, rimane un obiettivo dichiarato del centrodestra e non è un caso che il primo a rilanciarlo sia stato Silvio Berlusconi, 21 anni dopo averne indicato la priorità a «Porta a Porta» per la prima volta. Non è invece nemmeno citato nei programmi del Terzo Polo, che pure ribadisce l’assoluta esigenza di portare l’Alta velocità ferroviaria fino a Reggio Calabria e di introdurla anche in Sicilia sulla linea Palermo-Messina-Catania (ma Renzi da premier una mezza apertura al progetto l’aveva fatta); e del Pd, che è sempre stato molto tiepido sulla necessità dell’opera, non richiamata nemmeno nel Piano Sud 2030 dell’ex ministro Provenzano, di cui il testo elettorale ricorda la piena attualità. Nemmeno un rigo anche in casa 5 Stelle: nel programma si fa genericamente riferimento a «Infrastrutture interconnesse e mobilità intermodale sicura» nonché alla «riduzione del gap infrastrutturale tra i territori».

Fondi Ue 

Pnrr, è scontro sulla revisione

Il Pnrr è uno dei nodi più divisivi – almeno in apparenza – della campana elettorale. E rischia di diventarlo maggiormente in chiave Sud perché è qui che le risorse europee dovrebbero avere maggiore impatto. Il centrodestra chiede una “revisione” del Piano sottolineando che prima che venisse approvato non c’erano stati gli aumenti vertiginosi del costo delle materie prime e la guerra in Ucraina. Altolà dal terzo Polo che ha fatto dell’agenda e del metodo Draghi la sua bandiera: nessun rinvio delle scadenze se non per i motivi di urgenza già espressamente indicati nell’impianto del Piano. Ma soprattutto nessuno spazio ai tentativi di ridefinirlo, non solo nelle scadenze ma anche negli obiettivi. Difesa del Piano anche da parte del Pd secondo cui bisogna continuare a realizzare tutti gli obiettivi previsti e concordati con Bruxelles mentre curiosamente (ma fino a un erto punto) i 5 Selle non citano nemmeno la sigla del Pnrr: ne parlano indirettamente quando chiedono un «Energy Recovery Fund sulla scia del Next Generation Eu». 

Fiscalità 

Decontribuzione, urge la proroga

La sigla conta relativamente. Che la chiamino Decontribuzione Sud o fiscalità di vantaggio sul lavoro, la sostanza non cambia. Su questo tema nessuna divergenza tra i partiti, a riprova del felice impatto della norma sulle imprese e sui lavoratori coinvolti. Introdotta dal Pd nel governo Conte bis, rilanciata e prorogata dal governo Draghi, la misura trova il pieno sostegno di tutto l’arco costituzionale, da Fratelli d’Italia ad Articolo uno. Sì alla proroga ulteriore (la scadenza è il 31 dicembre prossimo) ma soprattutto alla conferma strutturale del provvedimento, come di recente ha sottolineato anche la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Su come procedere, però, ben poche indicazioni: la traccia più certa al momento resta quella studiata dai ministri Carfagna e Amendola per agganciare la Decontribuzione alle misure, in deroga Ue, per le imprese danneggiate a causa della guerra in Ucraina ma dall’1 gennaio 2023 potrebbe non bastare. Specie se la modifica del Patto di stabilità europeo non procederà a tamburo battente... 

Reddito di cittadinanza 

Lavoro e vitalizi, il sistema va rivisto

La sfida delle sfide, anche o forse soprattutto in chiave Sud, visto che il maggior numero di percettori abita in questa parte del Paese, sarà sul Reddito di Cittadinanza. I Cinque Stelle sono pronti alle barricate per difendere la loro bandiera e parlano di “rafforzare” la misura nel programma elettorale. Ma al momento sono isolati anche se il Pd non affonda la critica e parla di esigenza di miglioramento, a partire dalle conclusioni della commissione Saraceno voluta dal ministro del Lavoro Orlando. Compatto invece il centrodestra che chiede la cancellazione del Reddito per chi rifiuta anche una sola offerta di lavoro senza però dimenticare l’esigenza di tutelare chi è in povertà. In perfetta (almeno in questo caso) sintonia il Terzo Polo con Matteo Renzi sin dall’inizio aspramente critico. Comune denominatore del fronte del no al Reddito l’indicazione della possibile, nuova destinazione delle risorse eventualmente sottratte alla misura: dalle pensioni agli sgravi fiscali per le imprese, l’elenco è lungo… 

Il governo 

Ci sarà ancora un ministro?

Nei programmi elettorali non ce n’è traccia: nessun partito dà per certo che il governo di cui vorrebbe far parte - se vincesse le elezioni - avrà un ministro per il Sud. Nessun annuncio, nessuna anticipazione. Il centrodestra litiga sul Viminale, il centrosinistra non va oltre l’attenzione al Sud, il Terzo Polo pure. Il punto ovviamente non è tanto se un ministro alla fine ci sarà (il richiamo alle Politiche di coesione, in chiave europea, dovrebbe darlo quasi per scontato) quanto i poteri e il peso politico che gli verranno riconosciuti. Ci sarà un ministro per il Sud o soltanto un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega al Sud? Da tempo il ministro per il Sud opera nell’ambito delle competenze previste all’interno di Palazzo Chigi, presso cui esiste un apposito Dipartimento: non si può parlare di ministero tout court, in altre parole. Sarebbe stato perciò opportuno cogliere l’occasione elettorale per lanciare un segnale che non avrebbe avuto alcun significato di protagonismo territoriale ma di rafforzare la “pari dignità” con gli altri dicasteri. 

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