Governo, ora tutti fanno la corte al Pd: un sì dei nemici vale Palazzo Chigi

Governo, ora tutti fanno la corte al Pd: un sì dei nemici vale Palazzo Chigi
di Marco Conti
Venerdì 6 Aprile 2018, 10:06
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Sarà colpa del destino cinico e baro o piuttosto del sistema proporzionale, ma tutti, M5S e centrodestra, vorrebbero ora andare al governo con il partito che in campagna elettorale hanno più detestato: il Pd. Pubblicamente lo ha detto Luigi Di Maio subito dopo l'incontro al Quirinale con il Capo dello Stato Sergio Mattarella. Da sempre ci pensa Silvio Berlusconi che ieri al Quirinale ha fatto sfoggio di europeismo e di preoccupazioni da statista, sul futuro dell'Italia. Pronto a discutere «anche con il Pd», è persino Fabio Rampelli (FdI).
 

Ad un mese dal voto Di Maio, spinto forse anche dall'ala sinistra interna al Movimento, comincia ad avere qualche dubbio sulla tenuta di Matteo Salvini. I due hanno ancora un rapporto strettissimo, ma il leader del Carroccio fatica a sganciare FI dal Cavaliere e resiste all'idea di far saltare il centrodestra per formare un governo con Di Maio-premier e tanti ministri della Lega. E così ieri l'ex vicepresidente della Camera, dopo aver ricordato che «non esistono più la destra e la sinistra», ha annunciato di essere pronto a prendersi i voti di tutto il Pd, compresi quindi gli odiati Matteo Renzi e Maria Elena Boschi.
 
Affinità politiche e culturali, sostengono i fini conoscitori del M5S, o voglia di dimostrare all'ala ortodossa che alla fine per andare al governo è aperto solo il forno di destra anche perchè una maggioranza M5S-Pd avrebbe numeri risicatissimi. Fatto sta che ieri al Quirinale i due vincitori delle elezioni, Salvini e Di Maio, hanno dimostrato di aver giocato sinora con regole completamente diverse da quelle dettate dal sistema elettorale in vigore. Una sorta di gioco dell'oca dove ieri sono tornati al punto di partenza. Ovvero al 37% e al 32%. Due ottimi risultati ma che non fanno una maggioranza ed un governo.

Mattarella, al termine delle consultazioni - e forse anche durante gli incontri - si è premurato di ricordare a tutti, ma soprattutto ai due vincitori, che il 4 marzo non si è votato con il sistema maggioritario, ma con il proporzionale e che quindi occorre lavorare per costruire coalizioni. E così, sia Di Maio che Salvini si sono ricordati del Pd. Il primo ha evocato esplicitamente i dem così come la Lega, dando forte l'impressione di essere interessato a costruire diarchie con tutti, pur di ottenere la poltrona. Il secondo mastica amaro perché non vuole dar ragione a Berlusconi - che da tempo spinge per un dialogo con i dem - e a quella parte di Lega, Bossi e Calderoli, che hanno mostrato sempre molto scetticismo sull'asse con Di Maio. Andare al governo con il Pd significa però per la Lega seppellire la linea-Salvini, che oltretutto potrebbe essere anche costretto a favorire l'ascesa a palazzo Chigi di un suo uomo come Giancarlo Giorgetti, certamente più gradito ai dem.

Resta il fatto che, per ora, il Pd non intende togliere le castagne dal fuoco, né al M5S, né al centrodestra. L'obiettivo condiviso, forse l'unico per ora, che mette insieme Renzi con Franceschini, Orlando e Martina è quello di far macerare nell'inconcludenza sia Di Maio che Salvini. Raccontano che nel Movimento c'è chi - Davide Casaleggio in testa - comincia a ragionare su ipotesi diverse da Di Maio. L'ex presidente della Camera sembra aver svolto il suo compito bruciando ogni possibilità d'intesa con il centrodestra dove alberga ancora il super-detestato Cavaliere. Nei gruppi grillini si comincia ad avvertire tensione. Non andare al governo significa svuotare di significato l'impegno di molti professionisti che non hanno intenzione di riscaldare i banchi di Montecitorio o di palazzo Madama per qualche migliaio di euro. Significativo che al secondo round di consultazioni potrebbero salire di nuovo i presidenti delle Camere. Sarà allora interessante cosa dirà Roberto Fico, qualora un governo del Presidente dovesse diventare attuale a patto che tutti i partiti lo chiedano a Mattarella. Ieri Salvini e di Maio, bocciando «il governo di scopo», hanno provato a mettere le mani avanti, ma tra un mesetto lo scenario potrebbe cambiare radicalmente e rendere l'opzione come unica possibile anche fosse solo per cambiare la legge elettorale e riportare il Paese al voto il prossimo anno.
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