«Aiuti inutili senza strategia,
Draghi diventerà il garante»

«Aiuti inutili senza strategia, Draghi diventerà il garante»
di Nando Santonastaso
Martedì 16 Febbraio 2021, 08:19 - Ultimo agg. 17 Febbraio, 08:42
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Per Florindo Rubbettino, editore e intellettuale calabrese, la fiducia del Sud nel governo Draghi non può dipendere dal luogo di nascita dei suoi ministri. «Anzi, se proprio dobbiamo dirla tutta, nella storia repubblicana il Parlamento è stato sovrabbondante di deputati e senatori eletti nel Centro Sud senza che la cosa abbia significato una reale svolta per il Mezzogiorno», osserva. E aggiunge: «Sarà Draghi la garanzia di una visione di lunga gittata anche sui divari territoriali. In ogni caso il suo governo sarà giudicato dai fatti, non da ipotesi preconcette sui rischi di un disinteresse verso il Meridione».

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Si può dire, come sostiene qualcuno, che alla fine la pressione per una maggiore destinazione di fondi europei al Sud abbia messo in allarme l'imprenditoria e la politica del Nord?
«Non credo. I partiti hanno tutti una base di rappresentanza nazionale, a parte la Lega che ha un elettorato preponderante al Nord: non immagino teorie per così dire complottiste ai danni del Mezzogiorno».


Proviamo a formulare meglio la domanda: lei crede che la centralità del Mezzogiorno per la ripresa del Paese, al di là delle parole e degli slogan politici, resterà concretamente tale anche per il nuovo governo?
«Ho molta più fiducia in questo governo, che per me ha le carte in regola per guardare con la giusta attenzione ai problemi dell'Italia tutta, che non nei governi precedenti.

Proprio per questo mi aspetto in concreto una forte attenzione attraverso il Recovery Plan ai problemi strutturali del Mezzogiorno, ai divari, a tutti i gap che gli impediscono di giocare al meglio le sue carte. In più, la presenza di un ministro di impostazione liberale dovrebbe fare da stimolo ad una visione appunto più liberale dei problemi di quest'area».


Ma cosa vuol dire esattamente una visione più liberale?
«La ministra Carfagna ha dimostrato a più riprese questa impostazione da politico liberale e da lei mi aspetto dunque moltissimo. Nello specifico, mi auguro che prenda piede una visione del Mezzogiorno come territorio attivo. Che diventi protagonista del suo futuro senza essere piagnone pretendendo però che vengano rimossi i suoi handicap strutturali. Non servono più risarcimenti e sussidi, insomma: bisogna mettere il Sud in condizione di poter lavorare».


È la teoria che il Sud si salva soprattutto se si aiuta da solo?
«Proprio così. Bisogna stimolare responsabilità, autonomia, spirito d'iniziativa. E questo si esplica in due modi, secondo me: nel pretendere ciò che uno Stato nazionale dovrebbe dare per garantire a tutti le stesse condizioni di partenza ma al tempo stesso smettere di pretendere anche quello che lo Stato stesso non ti potrà mai dare. Iniziare cioè a fare anche da solo».


Passa anche per le riforme quest'esigenza, pare di capire: lei da quali di esse inizierebbe in chiave meridionale?
«Le priorità sono tante, dal fisco alla giustizia, dalla Pubblica amministrazione all'istruzione, all'innovazione. Ma serve soprattutto una serie di interventi combinati perché iniziative su singoli settori, magari sganciati da una precisa strategia com'è troppo spesso accaduto in passato, rischiano di diventare inutili. Dal governo Draghi mi aspetto perciò soprattutto visione».


Come a proposito dell'idea, partorita dall'ultimo governo, degli ecosistemi dell'innovazione, replicare cioè in tutto il Sud il modello di San Giovanni a Teduccio con la sinergia tra imprese e università?
«Credo di sì perché tutto ciò che va in direzione della formazione e dell'alta formazione e innovazione va benissimo, ben sapendo che da solo questo tipo di investimento non può bastare».


Il tempo impone decisioni e scelte rapide: cosa farebbe subito per il Mezzogiorno?
«In questo momento la più grande difficoltà per le imprese è di avere ossigeno per i prossimi mesi. Ma, anche qui, non dobbiamo pensare solo ai ristori che sono certamente utili. Si deve cioè intervenire in maniera più innovativa sul sistema bancario, nel rispetto ovviamente della sua autonomia, perché aiuti le imprese ad uscire da questa situazione ma a fronte di progetti che dimostrino la loro piena affidabilità nel tempo. È la priorità numero uno perché consente di tenere in piedi l'occupazione, soprattutto nel Mezzogiorno».


Le banche non le sembra che abbiano svolto fino in fondo questa funzione nei mesi dell'emergenza pandemica?
«Voglio dire che continuare a mantenere in vita aziende che non hanno la forza, l'energia e la liquidità per guardare al futuro significherebbe bruciare altre risorse senza occuparsi del futuro del Paese. Noi dobbiamo invece far fruttare al meglio questa epocale occasione del Recovery Plan proprio come avvenne con il Piano Marshall dell'ultimo dopoguerra».


Ma lei il Ponte sullo Stretto lo vedrebbe nell'elenco delle priorità da realizzare?
«Non mi pare che al momento sia una priorità anche se la discussione va affrontata in maniera non ideologica. Non dobbiamo spaventarci mai di fronte all'innovazione, ma mi pare che in questa fase non possa essere considerata una scelta strategica».

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