Sud, prima missione per il governo Meloni: la proroga degli sgravi

Sud, prima missione per il governo Meloni: la proroga degli sgravi
di Nando Santonastaso
Domenica 23 Ottobre 2022, 00:00 - Ultimo agg. 15:00
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«Musumeci ha lavorato bene sulle Zes e sulla decontribuzione, ambiti tanto cari al mondo produttivo, siamo certi che proseguirà il suo impegno su questi temi». Nelle parole di augurio del presidente di Confindustria Sicilia, Albanese, c’è già il richiamo a due dei grossi dossier che attendono il neoministro per il mare e il Sud Nello Musumeci. Zes e fiscalità di vantaggio non hanno certo lo stesso peso rispetto alla gestione dei fondi del Pnrr e della Politica di coesione (80% delle risorse europee e di quelle nazionali dell’Fsc al Sud) che il premier Meloni ha deciso di affidare a Raffaele Fitto. Ma sono entrambi decisivi, nel breve e lungo termine, per ridurre il divario come l’ex governatore siciliano sa molto bene avendo accelerato per l’avvio della Zona economica speciale legata al porto di Palermo e sostenuto a spada tratta le imprese preoccupate del futuro della Decontribuzione. 

Proprio su quest’ultimo fronte, l’impegno di Musumeci dovrà già essere particolarmente veloce e incisivo.

La proroga concessa dall’Ue per le imprese meridionali (30% a scalare del taglio del costo del lavoro per favorire nuove assunzioni e soprattutto il mantenimento dei contratti esistenti, per lo più a tempo determinato) scadrà a fine anno. E finora, complice la crisi di governo e le elezioni anticipate, non è stata abbozzata una linea di politica nazionale in grado di convincere ancora l’Europa ad insistere su questa misura. Con l’ex ministro Carfagna si studiò e concordò un escamotage tecnico che collegava la fiscalità di vantaggio alle conseguenze della guerra in Ucraina per le aziende di un’area debole, la più debole dell’Ue, come il Mezzogiorno. Ma allora tutta la politica di coesione faceva capo al solo ministro del Sud, oggi non più. E bisogna persino capire se il dossier Decontribuzione resterà a Musumeci o transiterà invece anch’esso nelle mani del collega Fitto. Di sicuro, si annunciano giorni carichi di incertezze per decine di migliaia di imprenditori.  

Altro dossier scottante in chiave Sud è la semplificazione burocratica che dovrebbe sveltire il lavoro dei Comuni e consentire loro di varare e attuare nei tempi previsti i progetti del Pnrr. Il neoministro, quando era alla guida della Regione Sicilia, è sempre stato piuttosto duro sull’argomento: «Se le procedure per il ponte di Genova fossero state consentite anche alle Regioni del Sud Italia noi di ponti ne avremmo ricostruito decine, e non soltanto ponti. Si corre il rischio di immaginare l’Italia ancora divisa fra Nord e Sud, fra figli e figliastri» ha detto ad esempio a fine giugno scorso a margine della riunione plenaria del Comitato europeo delle Regioni sui tempi stretti, a suo dire, del Pnrr. Il Ponte sullo Stretto di Messina resta l’idea fissa e sicuramente Musumeci se ne farà portavoce nella sua nuova veste di ministro provando ad accelerare i tempi. Ma egli stesso ha ricordato che le regioni meridionali attraverso il Pnrr «abbiano bisogno di cogliere questa opportunità finanziaria per realizzare le piccole e medie infrastrutture perché per le grandi infrastrutture occorre un margine di tempo che neppure la proroga della scadenza al 2028 potrebbe consentire. Ma sarebbe già sufficiente lavorare sulle medie infrastrutture, sulla qualità dei servizi, sulla digitalizzazione sulla fibra, che va portata anche nelle aree più recondite dell’Interno proprio perché il processo di crescita passa attraverso la competitività dei territori». 

Da ministro del Sud potrà ora ripartire da dove si è interrotto il discorso: ovvero, da come garantire agli enti locali il personale e la competenza necessari a turare le falle della Pubblica amministrazione (nella sua Sicilia non si fanno più assunzioni dal 1991) e a bandire gli appalti. La strada dei concorsi resta al primo posto ma se il 2023 sarà l’anno dei cantieri a tutto spiano, almeno in chiave Pnrr, ci sarà bisogno di uno sforzo supplementare e immediato per non costringere interi territori a restare ancora indietro. 

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Il lavoro, di sicuro, resta la priorità numero uno per il Mezzogiorno che da solo “copre” il 50% del totale dei disoccupati del Paese (un milione su due), che ha il maggior numero di neet e di donne costrette a restare a casa. Certo, com’è finora accaduto, un ministro senza portafogli e con deleghe limitate non ha molti margini ma può dire la sua su temi determinanti come il riordino degli incentivi per le assunzioni dei giovani, sulla corsia preferenziale da garantire alle donne per accedere al lavoro e così via. Musumeci, come chi l’ha preceduto, ha il vantaggio di conoscere i problemi: sa bene che la fuga dei giovani continua, che le imprese assumono per lo più a tempo, che la qualità dei servizi rimane insufficiente e il tasso di denatalità continua a erodere la quota di residenti, lasciando intravedere scenari catastrofici già nel prossimo decennio. C’è bisogno di mettere un argine a tutto ciò, magari imponendo alle grandi multiutility di investire prima al Sud e poi nel resto del Paese, come da più parti si chiede ormai da tempo. O trasformando la grande ricchezza assicurata dalle fonti energetiche rinnovabili in un processo di sviluppo industriale che privilegi soprattutto i territori che le ospitano. Un indirizzo politico in tal senso sarebbe un segnale inequivocabile anche rispetto alle paludi dei regionalismi su cui si sono spesso arenate anche le migliori intenzioni. 

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