Governo per le riforme, gelo su Franceschini

Governo per le riforme, gelo su Franceschini
di Nino Bertoloni Meli
Giovedì 15 Marzo 2018, 09:50
3 Minuti di Lettura
Appoggio del Pd a un governo di centrodestra? «Fantapolitica», stronca sul nascere Lorenzo Guerini, che pure non è uso a stroncare quanto a mediare e smussare. In un Pd tuttora alle prese con la sberla elettorale, dove le voci stridono e le posizioni balbettano, è difficile trovare un bandolo, una linea in grado di accontentare e unire tutti. «Ma che vanno cercando quelli del centrodestra, ormai si è capito che M5S e Lega hanno l'accordo, sia sulle presidenze delle Camere che per il governo», è convinto Ettore Rosato, il capogruppo uscente che rimane in campo per riconferma.

Passa Renato Brunetta, pari grado di Rosato per Forza Italia, e tra i due sono abbracci e baci con promessa di sentirsi e consultarsi. Se la linea dem rimane quella del «tocca a chi ha vinto le elezioni fare proposte», sperando così che si faccia il governo a due Di Maio-Salvini contro cui sparare a raffica, non tutti nel Pd pensano che andrà a finire così. Non solo, se è vero, come sembra, che l'opzione M5s-Lega è di tornare quanto prima alle urne, ecco che tra i dem si affaccia il genio pontieri, il partito dei responsabili, pronti a giocare le proprie carte e a far giocare il Pd.
 
Spunta così l'ipotesi di un appoggio dem alla candidatura del leghista Giancarlo Giorgetti alla presidenza della Camera, accoppiata, ma questo al momento è solo sussurrato, con quella di Paolo Romani al Senato. Uno schema che avrebbe il piccolo handicap che non è previsto alcun nome pentastellato, serve comunque a sottolineare che il Pd, magari non tutto, una partita intende giocarla. Lo schema prevede anche la giustificazione politica: Giorgetti sarebbe il volto buono del salvinismo, è ben visto in ambienti istituzionali, Sabino Cassese lo ha sponsorizzato, insomma non sarebbe un sì a Salvini ma a un «leghista dal volto umano».

Nella categoria dei responsabili va ascritto anche Dario Franceschini, che al Corriere ha lanciato l'idea di trasformare l'attuale legislatura in una legislatura costituente, «c'è il blocco, magari è l'occasione buona che tutti si convincano che bisogna cambiare le regole». L'apertura sulle riforme è un classico di chi intende intavolare dialoghi e intese, ma la sortita di Franceschini risulta non concordata con nessuno, né con Gentiloni né con Zanda, «l'hanno appresa dal giornale», è stata accolta con una certa freddezza, insomma, a eccezione di Andrea Orlando, altro responsabile specie rispetto al Colle, che invece ne ha parlato bene.

Riforme o meno, tutti nel Pd, da Matteo Renzi ai dialoganti, ai responsabili, confermano di guardare alle mosse del Quirinale, e a queste intendono attenersi (sottinteso: dal Colle alla fine verrà una proposta non lontana dal «governo di tutti», ben visto dal Pd ma malvisto dal duo Salvini-Di Maio). Resta aperta in casa dem la questione dei capigruppo. I renziani contestano di aver perso la maggioranza nei gruppi parlamentari, i non renziani all'opposto confermano, fatto sta che adesso si sta tentando di trovare una via di uscita che stemperi i contrasti e trovi uno sbocco onorevole per tutti. «Tranquilli, non ci sarà alcuna conta», chiosa Rosato, che si è sentito con Orlando che ieri lo aveva stoppato, «ci siamo chiariti». L'ipotesi è che sia il reggente Martina a occuparsi della cosa, «faccia lui la proposta, frutto di mediazione, e poi deputati e senatori la voteranno», dicono quanti non vogliono assistere a conte cruente. E ricordano, questi ultra-responsabili, che l'elezione di Speranza capogruppo, voluto da Bersani che all'epoca venne meno alla promessa che aveva fatto a Orlando, registrò cento voti contrari. Dunque? I renziani stanno facendo e rifacendo i conti, e forti di questi hanno fatto girare il nome di Gianni Pittella capogruppo al Senato e bocciato quello di Marco Minniti alla Camera.
 
© RIPRODUZIONE RISERVATA