Trattativa M5S-Lega, pensioni a quota 100 e Irpef al 15% fino a 80mila euro

Trattativa M5S-Lega, pensioni a quota 100 e Irpef al 15% fino a 80mila euro
di Roberta Amoruso e Andrea Bassi
Domenica 13 Maggio 2018, 11:20
5 Minuti di Lettura
La flat tax, la riforma delle pensioni e il reddito di cittadinanza sono i capisaldi del contratto di programma tra la Lega e il Movimento Cinque Stelle. Sulla tassa piatta l'ipotesi in discussione è quella di introdurre due aliquote sui redditi «familiari», cumulando quindi quelli personali, al 15% fino a 80 mila euro e al 20% oltre. Sono poi previste deduzioni per 3.000 euro ogni componente familiare fino a 35 mila euro e solo per i familiari a carico tra i 35 e i 50-55 mila euro. Dovrebbe essere confermato un meccanismo che non faccia pagare tasse a lavoratori e pensionati che dichiarano meno di otto mila euro. Ed è prevista una clausola di salvaguardia: chi con il nuovo regime fiscale dovesse ritrovarsi a dover pagare un conto al fisco più salato di quello che pagava con il vecchio sistema, allora potrebbe optare per quest'ultimo.
 
Le prime due domande sono: chi vince e chi perde con la flat tax e quanto costa ai conti pubblici. Per i redditi bassi, i vantaggi sono pochi e anzi, fino a mille euro lordi mensili di reddito (12 mila annui), si rischia di pagare più di quanto si paga oggi con il sistema delle deduzioni e delle detrazioni fiscali. Erano stati i commercialisti a calcolare che in Italia il 75% dei contribuenti già oggi paga un'aliquota effettiva inferiore al 15%. La flat tax, insomma, dà fiato a quel 25% che oggi versa la maggior parte dell'Irpef. E che in effetti, a vedere le simulazioni, riceve vantaggi fiscali rilevanti. Un single che dichiara 50 mila euro l'anno oggi paga 15.139 euro di tasse. Con la flat tax al 15% ne verserebbe 7.639, il 50,4% in meno. Una famiglia monoreddito, con un figlio a carico che ha più di tre anni, oggi versa nelle casse dello Stato ogni anno 5.474 euro. Con la tassa piatta ne verserebbe 3.150, il 42% in meno. Una famiglia in cui lavorano sia il marito (45 mila euro di reddito), che la moglie (25 mila euro di reddito), con due figli con più di tre anni a carico, oggi versa 17.654 euro, ne verserebbe con la flat tax 10.500, più del 40% in meno, con un risparmio di oltre 7 mila euro. Se la famiglia bi-reddito ha due stipendi più modesti (15 mila euro ciascuno) e due figli minori, si troverebbe paradossalmente a versare 56 euro di tasse in più (il 7,75%), a meno di non voler ricorrere alla clausola di salvaguardia. Dunque più crescono i redditi maggiore è il vantaggio. Quanto costa questa misura che, in teoria, dovrebbe riguardare anche pensionati e lavoratori autonomi? Secondo le stime dei tecnici della Lega 50 miliardi di euro. Molto, in realtà, dipende da quante detrazioni e deduzioni si vogliono cancellare. Ai 50 miliardi, in pratica, si arriverebbe dicendo addio a qualsiasi sconto fiscale sui redditi: dai 12,6 miliardi per i carichi di famiglia, ai 42 miliardi per i redditi da lavoro dipendente, ai 3,3 miliardi delle spese sanitarie, agli 890 milioni dei mutui prima casa, ai 5 miliardi delle ristrutturazioni, ai 3 miliardi dei versamenti ai fondi pensione, fino ai circa 9 miliardi delle deduzioni sull'abitazione principale.

Un reddito di cittadinanza a tempo. Può essere questo il punto di caduta nella trattativa tra M5s e Lega su uno dei pilastri del contratto di governo, se mai decollerà. Certo, la richiesta avanzata dalla Lega per superare il niet alla proposta, non è di quelle facili da digerire per Luigi Di Maio. Ma può essere un modo far tornare i conti sia nel bilancio dello Stato sia rispetto alle dichiarazioni elettorali. Si scopre infatti in questi giorni che Matteo Salvini, decisamente contrario al reddito di cittadinanza assistenzialista, si trovi ad aprire la porta a una sorta di prestito ponte per chi è in attesa di trovarne un nuovo lavoro. Un sorta di assegno di disoccupazione verrebbe erogato per due anni al massimo, secondo le indiscrezioni. Per il resto, salvo limature dell'ultimo momento, lo schema sarebbe quello proposto dai pentastellati in campagna elettorale. Una misura che costa circa 15 miliardi, da far scattare subito, nel 2019, il tempo di riorganizzare i vecchi uffici di collocamento al costo di 2 miliardi. Ci sarebbero oltre 9 milioni gli italiani coinvolti, cioè tutti coloro che hanno redditi molto bassi anche se della stessa famiglia.

Un nucleo di 4 persone può dunque arrivare a percepire fino a 1.950 euro, esenti da tasse e da pignoramenti. L'assegno di 780 euro al mese rappresenta però un tetto massimo. Un esempio: una famiglia di tre persone con genitori disoccupati a reddito zero e un figlio maggiorenne a carico percepirà un reddito di cittadinanza di 1.560 euro. Un calcolo che tiene conto della soglia di povertà riconosciuta in Italia, proprio a 780 euro per il singolo individuo, ma variabile in funzione del numero di persone della famiglia.

Chi invece ha già un reddito avrebbe diritto solo alla differenza tra quello che guadagna ogni mese e i 780 euro. In questo caso, una coppia di pensionati con pensioni minime da 400 euro ciascuno, avrebbero un assegno integrativo di 370 euro per la coppia. L'integrazione è prevista anche per chi è sottopagato. E dunque, in caso di contratto a tempo indeterminato verrebbe introdotto un salario minimo. Stesso discorso per il part-time.

I requisiti? Bisogna avere più di 18 anni, essere disoccupati o inoccupati, percepire un reddito o una pensione sotto la soglia dei 780 euro. Occorre poi rendersi disponibili a lavorare, iscriversi ai Centri per l'Impiego pubblici e iniziare un percorso di ricerca attiva occupazione per almeno 2 ore al giorno, frequentando corsi di formazione. Nel frattempo si dovrà contribuire a progetti sociali presso il Comune per 8 ore alla settimana. Ma attenzione a rifiutare più di tre proposte di impiego «congrue», l'assegno svanirà all'istante.

Nel piano per l'abolizione della legge Fornero, uno dei punti del contratto su cui è avviata la trattativa tra Movimento Cinque Stelle e Lega, potrebbe essere recepita una sorta di «clausola di salvaguardia». L'impegno a non impegnare risorse per più di 5 miliari di euro l'anno. «Non abbiamo intenzione di far sballare i conti pubblici», spiega Alberto Brambilla, ex sottosegretario al lavoro, animatore di Itinerari previdenziale ed estensore per la Lega della proposta di superamento della Fornero. La proposta elaborata da Brambilla, e della quale si sta discutendo al tavolo, ha alcuni capisaldi. Primo: la possibilità di andare in pensione una volta raggiunta quota 100 come somma di contributi tra età anagrafica e anni di contribuzione. Ma con una postilla, un'età minima di 64 anni. Significa che chi ha 63 anni e 37 di contributi non può lasciare il lavoro. Il secondo punto è il ritiro, a prescindere dall'età, con 41 anni e mezzo di contributi e a patto che non si abbiano più di due anni di contribuzione figurativa. Terzo punto, l'adeguamento automatico alla speranza di vita resta. Quanto costerebbe questa riforma? Secondo i calcoli dei tecnici della Lega circa 5 miliardi di euro.

Se si dovesse andare oltre, alcuni parametri potrebbero essere modificati. Si potrebbe, per esempio, partire da quota 101 (64 anni di età e 37 di contributi). I tecnici sono convinti però, che non sarà necessario. Anzi. La proposta è molto complessa e contiene anche altri pezzi che, invece, potrebbero far risparmiare risorse. Come l'idea di abolire la decontribuzione per l'assunzione di giovani e sostituirla con un credito d'imposta, una sorta di superammortamento del 130% su ogni nuovo assunto, giovane o ultra cinquantacinquenne.
© RIPRODUZIONE RISERVATA