«Draghi economy», rivoluzione di velluto: ecco le linee guida per rilanciare l'Italia

«Draghi economy», rivoluzione di velluto: ecco le linee guida per rilanciare l'Italia
di Nando Santonastaso
Domenica 7 Febbraio 2021, 23:02 - Ultimo agg. 9 Febbraio, 07:53
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Non solo il debito buono, che pure è destinato a rimanere l’architrave della sua “ricetta economica” per il rilancio del Paese. L’Italia di Mario Draghi, secondo gli economisti, sarà anche quella della progressiva eliminazione di bonus e sussidi che peraltro, come lui stesso ha più volte riconosciuto, sono stati (e saranno) necessari per tenere in piedi il Paese durante la pandemia. E sarà soprattutto l’Italia del massiccio ricorso agli investimenti pubblici. Quella, per dirla con Adriano Giannola, presidente della Svimez, «che sarà sempre più caratterizzata dall’intervento dello Stato nell’economia». Anche perché, spiega Tiziano Treu, «il peso di Draghi in Europa è tale che nessuno a Bruxelles, se imboccheremo subito la strada della ripresa attraverso il Recovery Plan, starà lì a fare le pulci sui tempi da rispettare». E inoltre, aggiunge Giuseppe Di Taranto, della Luiss Guido Carli di Roma, «prima di essere ripristinate, le norme europee attualmente sospese come il Patto di stabilità o quelle che impedirebbero gli aiuti di Stato, saranno quasi certamente sottoposte a una più che necessaria revisione. In altre parole, proprio il fattore tempo dovrebbe giocare a nostro favore».



Insomma, la strada italiana resta molto in salita, specie in considerazione dell’elevatissimo debito pubblico, ma potrebbe contare su alleati e circostanze favorevoli. Di sicuro la crescita, indicata come priorità assoluta l’altro giorno anche dal governatore di Bankitalia Ignazio Visco, non fa rima con assistenza.

Lo stesso Draghi, nell’ormai arcinoto articolo affidato al Financial Times, era stato chiaro: «La priorità non deve essere solo quella di fornire un reddito di base a coloro che perdono l lavoro», aveva scritto. E su questo punto sono nate inevitabili perplessità: tra i sussidi da ridurre potrebbe entrare anche il Reddito di cittadinanza? E che ne sarà del sistema di welfare che peraltro dall’inizi della pandemia si è rivelato indispensabile, dopo gli anni tagli imposti ai Comuni? Gli economisti sono molto cauti: «Il compito di Draghi, come lui stesso ha già in qualche modo esplicitato, sarà di indicare al Paese le priorità del Recovery Plan che finora nessuno conosce. Il piano di investimenti che ci chiede l’Europa sarà indirizzato soprattutto verso l’istruzione, e dunque i giovani, e la politica industriale in chiave di sostenibilità ambientale, soprattutto. Le riforme? Arriveranno ma non subito perché temi come quelli del fisco e della giustizia richiedono importanti approfondimenti. Spendere bene sarà perciò il vero obiettivo di questa prima fase». Ma cosa vuol dire in concreto? Dice Adriano Giannola (che peraltro è stato compagno di corso di Draghi al Mit di Boston), che è passato molto tempo da quando, nel 2009, alla guida di Bankitalia, il premier incaricato «aveva sostenuto la necessità di efficientare la spesa pubblica come criterio generale per evitare sprechi e favorire la crescita: oggi i conti pubblici territoriali dimostrano che al Sud la spesa per investimenti è profondamente diminuita e che non si può più parlare di criteri di efficienza se mancano ancora scuole, asili, ospedali. Questo però vuol dire che il metodo di lavoro che dovrebbe seguire Draghi, politiche nazionali cioè e non più regionali per la crescita del Paese, porterà all’inevitabile conclusione di dover investire di più là dove i ritardi e le carenze sono più evidenti: cioè nel Mezzogiorno».

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Addio ai sussidi, investimenti massicci su cantieri e opere infrastrutturali, e poi? «E poi ristori mirati, non più a pioggia per così dire – sostiene Di Taranto – e progetti strutturali e strutturati nel Recovery plan, tali cioè da superare qualsiasi eventuale dubbio dell’Europa. Di sicuro Draghi non è un sostenitore delle politiche di austerity che ha combattuto anche alla guida della Bce, inimicandosi il falco Weidmann della Bundesbank. E il suo riferimento costante ai giovani nasce da una consapevolezza: che l’attuale tasso di fecondità nazionale, pari a 1,1 figli per coppia, rischia di compromettere la tenuta del sistema pensionistico a medio termine». Vuoi vedere che sarà proprio la riforma delle pensioni la prima in agenda per l’ex governatore della Bce prestato alla politica nazionale?
 

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