L'opposizione non è solo Resistenza

di Massimo Adinolfi
Venerdì 26 Aprile 2019, 08:00
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C'è un'opposizione che si riunisce sotto le insegne dell'antifascismo, ma può bastare? La domanda non riguarda le ragioni del moto resistenziale, il contributo dei partigiani alla guerra di liberazione, i valori che sottendono il testo costituzionale. Non riguarda, insomma, la festa nazionale del 25 aprile e le celebrazioni che si sono tenute in molte città italiane, con un calore e una partecipazione più sentite, forse, di quanto non sia accaduto negli anni scorsi.

La domanda riguarda piuttosto quel che si è mosso intorno a questa data, quello che cerca di prendere forma in questa occasione. E cioè, per l'appunto, un'opposizione degna di questo nome.

Dopo un anno circa di governo, la maggioranza populista è, infatti, ancora saldamente sopra il 50%, nonostante non possa vantare risultati particolarmente eclatanti (per dirla con una elegante litote). Segno, questo, che oltre grillini e leghisti l'elettorato non vede ancora disegnarsi una chiara proposta politica alternativa. Viene naturale allora chiedersi se le rievocazioni storiche e le cerimonie commemorative non siano chiamati a svolgere una forma di supplenza.

Più o meno così: non so bene cosa dire sul reddito di cittadinanza, non so come sottrarmi al pressing mediatico di Salvini sui migranti, non so scrollarmi di dosso un giudizio negativo sui passati anni di governo, né ho, all'opposto, il coraggio di rivendicarne i risultati, succede così che un denominatore comune lo trovo soltanto se torno indietro, ai fondamentali della Repubblica e, dunque, alla risorsa preziosa dell'antifascismo.

Qui non si discute di quanto sia in affanno la democrazia rappresentativa, o se l'orizzonte si stia oscurando per l'arrivo della nuvolaglia fascista e se infine esista per davvero quel fascismo eterno e inestirpabile di cui parlava Umberto Eco. Si domanda, molto più semplicemente, se sia questo, a sinistra, il terreno adeguato per costruire un'opposizione credibile ed efficace.

Adeguato, si intende, dal punto di vista delle necessità del Paese. Sotto un altro punto di vista adeguato può magari rivelarsi, se le intenzioni sono quelle di rimettersi in piedi, di uscire dal cono d'ombra in cui la sinistra è finita in questi mesi. E magari di compiere un primo passo per mettere assieme e avvicinare l'una all'altra le due opposizioni: quella di sinistra che sta fuori dalla maggioranza, e quella populista che in maggioranza, invece, ci sta. Perché nei toni e negli accenti, le parole di Luigi Di Maio, o di Roberto Fico, si sono avvicinate a quelle degli esponenti del partito democratico, molto più di quanto non siano risuonate in sintonia con le sensibilità del partner di governo, la Lega. In breve: per un Salvini che considera il 25 aprile come una specie di derby tra fascisti e comunisti, al quale sottrarsi, c'è un Di Maio che, giusto il contrario, critica chi non si unisce ai festeggiamenti, accusandolo di essere divisivo.

Si tratta dell'ennesimo episodio di una conflittualità che si trascinerà fino al voto delle europee. Ma la domanda rimane: vada come vada tra Lega e Cinque Stelle, al Pd e alla sinistra tocca davvero di ricominciare chiamando alle armi in nome dell'allarme democratico? Durante la scorsa legislatura, il Pd si è sensibilmente allontanato dai suoi mondi di riferimento. La linea sfacciatamente riformista scelta da Renzi ha prodotto una serie di rotture con segmenti di società tradizionalmente rappresentati a sinistra, che oggi Zingaretti si propone di sanare. Questo è, con ogni evidenza, il suo mandato: ricucire gli strappi, riannodare i rapporti. Ma se con Renzi le intenzioni programmatiche erano dichiarate, anche a costo di una brusca ridefinizione del quadro ideale e culturale del partito, al punto che in molti non han più potuto ritrovarsi, ora, con Zingaretti, sembra che si segua il verso opposto: riscrivere il manifesto dei valori, rendersi nuovamente riconoscibili sul piano dei simboli, ma lasciar da parte le scelte più incisive sul piano delle politiche e dei programmi.

Dopo il 25 aprile, è a tutti chiaro, insomma, che il partito democratico è un partito antifascista (ci mancherebbe!), pronto a difendere la democrazia contro tutti i pericoli di involuzione autoritaria e contro ogni arretramento sul piano dei diritti politici e civili. Ma cos'altro è chiaro? Sfrondata da ogni considerazione retorica, dopo gli omaggi e le celebrazioni questa rimane la domanda a cui l'opposizione deve provare a rispondere.
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