Raggi e Appendino al bivio: M5S, è il giorno più lungo

Raggi e Appendino al bivio: M5S, è il giorno più lungo
di Generoso Picone
Sabato 10 Novembre 2018, 07:30 - Ultimo agg. 10:11
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C'è la traccia di una sorta di nemesi storica, dell'impietosa applicazione della giustizia compensativa che il mito voleva riparatrice di antiche colpe, dell'accadimento che si manifesta nelle forme e nei modi della fatale punizione o della vendetta da servire fredda in questo sabato che promette di consegnarsi alle traballanti cronologie della storia post-contemporanea, liquida e digitale come il momento di una svolta. C'è qualcosa che tiene uniti i destini di quelle che fino a ieri erano considerate le avanguardie pentastellate nel governo dell'Italia, le prime donne del M5S elette sindaco in grandi città, in Municipii fondamentali e assai strategici come quelli di Roma e Torino, l'anticipo annunciato di quanto sarebbe poi avvenuto il 4 marzo scorso. C'è una sensazione di solitudine che avvolge ora Virginia Raggi e Chiara Appendino, le vincitrici delle elezioni amministrative a giugno del 2016, alla guida del Campidoglio e di Palazzo di Città, tormentate da quanto potrebbe venire dall'Aula del Tribunale e dalla Piazza, i luoghi valoriali del movimento che le ha espresse, i punti cardinali nella geografia dell'onestà onestà e della trasparenza efficiente disegnata da Beppe Grillo nel Vaffa Day dell'8 settembre 2007, 11 anni fa, l'inizio di questo presente.
 
Virginia Raggi conoscerà oggi il verdetto nel processo che la vede accusata di falso in atto pubblico nella nomina di Renato Marra e sul ruolo che a Roma aveva il fratello Raffaele. Lei prima che sindaco, legale specializzata in Diritto civile nei team degli studi di Cesare Previti e degli avvocati Sammarco associati - si è sempre dichiarata estranea e innocente, marchiando come robaccia da gossip pruriginoso quanto sul suo conto è stato raccontato nelle udienze, compresa la definizione venuta dalla deposizione dall'ex capogabinetto Carla Romana Raineri che l'ha ritratta come una zarina debole in balìa di un Rasputin o di un Richelieu con il profilo di Renato Marra. Dev'essere stata questa sottolineatura di fragilità amministrativa, se non o anche emotiva bambolina imbambolata nel ghigno beffardo di Vincenzo De Luca - , assieme alla constatazione che tra voragini in strada, sporcizia a ogni dove, l'ombra dell'inchiesta giudiziaria Parnasi sullo stadio che la Roma punta a costruire, trasporti in tilt e referendum sull'Atac, insomma roba da Dagospia, non si può andare avanti e a far pronunciare quindi al vicepremier e capo politico del M5S, Luigi Di Maio, e al ministro della Giustizia, il pentastellato Alfonso Bonafede, l'affermazione a molti parsa liquidatoria, quasi un preavviso di licenziamento: «Il codice etico è chiarissimo». Dove il codice etico è quello del movimento che intima dimissioni in caso di condanna. Per altri era bastato un avviso di garanzia, ma poi le cose evidentemente cambiano. Però il punto è stato fissato e per ascoltare un pronunciamento di solidarietà si è dovuto attendere Matteo Salvini, l'altro vicepremier e leader leghista che qualche giorno prima si era lamentato alla sua maniera delle condizioni di Roma inaugurando così la sua offensiva per conquistare il Campidoglio: ieri si è augurato che Virginia Raggi venga assolta. Lui, non altri.

Chiara Appendino oggi sarà l'obiettivo della contestazione delle madamin salottiere, come la collega di partito Viviana Ferrero aveva etichettato le partecipanti alla prima manifestazione consistente di piazza Si Tav, nel senso dell'opposizione al No Tav e Sì al terzo valico, Sì alla seconda linea Metro, Sì al completamento dell'Asti-Cuneo: Sì alle infrastrutture già programmate e ritenute utili se non indispensabili proclamato dal sindaco già nella campagna elettorale del 2016. Poi è arrivata la conferma secca e messo in linea quest'atteggiamento con il No alle Olimpiadi Perché manca la chiarezza e con la macchia giudiziaria dei fatti di Piazza San Carlo il 3 giugno 2017, quando il sistema di sicurezza approntato dal Comune per la visione della finale di Champions di Cardiff tra la Juventus e il Real Madrid crollò provocando un morto e 1500 feriti di cui 8 gravi, in tanti è maturata la convinzione che «Voglio Torino senza Appendino». Magari non sarà una nuova Marcia dei quarantamila, con i quadri Fiat che il 14 ottobre 1980 sfilarono per la città per manifestare la loro volontà di tornare al lavoro dopo le occupazioni operaie di Mirafiori, ma decisamente il segnale di un rapporto incrinato. Che produca cambiamento, si vedrà. Intanto, la grillina anomala che proveniva dalle simpatie vendoliane di Sel, che non aveva voluto firmare il contratto con il M5S, che si era laureata in Economia con specializzazione all'Università Bocconi, che aveva maturato un'esperienza alla Pianificazione finanziaria della Juventus e tifosa bianconera di suo, che era figlia e moglie di imprenditori e dunque pragmatica e laica, lei non sembrava più quella di prima: la Chiara Appendino che appena nominata sindaco aveva comunicato di volersi esclusivamente occuparsi del territorio e del bene di Torino aveva vestito i panni del politico della negazione a cui il filosofo Roberto Esposito ha dedicato un utile saggio. Contro si andava a comporre lo schieramento della filosofia affermativa, come Esposito spiega, dei torinesi e piemontesi che saranno pure «madamine salottiere» Ferrero si è comunque scusata e con lei il sindaco e però di fronte alle opportunità di dotarsi di servizi, di realizzare infrastrutture, di abitare la modernità non accettano pregiudizi e veti. Si facciano le opere, piccole o grandi che siano, senza badare alle verifiche dei calcoli di opportunità che neanche possono partire perché la commissione ministeriale non c'è: per Chiara Appendino messaggio chiaro, la smetta di fare come Bartley lo scrivano che nella pagina di Herman Melville si ostina a dire no, hanno gridato.

Clima teso, in verità, tanto che sotto la Mole sono arrivate al sindaco minacce di morte.

Ma assurdità a parte, da tutti condannate e respinte, è la Torino rinata e rimessa a lucido con le altre Olimpiadi invernali del 2006, quelle che si tennero, la città del Salone del Libro e di Eataly che dev'essersi sentita perduta e condannata alla marginalizzazione provinciale. L'asse si sposta verso il Nord-Est largo, da Torino al Veneto, e Torino teme di arretrare verso Roma, forse Napoli. Eppure lei, Chiara Appendino, durante il discorso d'insediamento il 30 giugno 2016 aveva ricordato che negli anni della sua opposizione in aula sedeva con il ritratto di Gianfranco Bellezia alle spalle, l'icona del grande sindaco che durante la pestilenza del 1630, a soli 28 anni «sentì su di sé la responsabilità di una città e rimase a Torino, a rischio della propria stessa vita, per coordinare quel poco di struttura sanitaria che in quell'epoca esisteva e soprattutto dimostrare che le Istituzioni sono più grandi della nostra natura umana». «A quel modello di servizio cercherò di ispirare il mio mandato, garantendovi fin d'ora che ogni mia energia sarà spesa per Torino», era stato l'impegno preso. Oggi c'è una piazza che si è sentita tradita e nel sabato che mette a rischio le Grandi signore del M5S, i sindaci pentastellati dalla faccia pulita, la delusione se non assumerà i caratteri di una bocciatura quanto meno si manifesterà con clamore. E questo è un fatto.

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