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GIORGIA MELONI

Nordio: «Test per i magistrati, con noi due italiani su tre: non si fidano delle toghe»

Il Guardasigilli: «Grave la protesta dell’Anm. Sciopero? Sembrerebbe una reazione di casta. Sì agli esami anche per altri ruoli pubblici. Cinque milioni per prevenire i suicidi in cella»

Nordio: «Test per i magistrati, con noi due italiani su tre: non si fidano delle toghe»
Nordio: «Test per i magistrati, con noi due italiani su tre: non si fidano delle toghe»
di Barbara Jerkov
Articolo riservato agli abbonati premium
venerdì 5 aprile 2024, 00:01 - Ultimo agg. : 15:24
8 Minuti di Lettura

Il Consiglio dei ministri ha deciso che il test psicoattitudinale per i magistrati partirà anche in Italia dal 2026. Decisione che, stando ai sondaggi, vede il 37,1% degli italiani d’accordo. Un altro 22% vorrebbe addirittura estendere questi test a chiunque ricopra un incarico di responsabilità in politica o comunque nel settore pubblico. Eppure l’Anm protesta, parla di mossa inutile e punitiva. Cosa risponde ministro Nordio?
«In realtà il sondaggio è ancora più severo, perché un ulteriore 16% auspica un rimedio ben più incisivo, cioè la responsabilità civile dei magistrati. Quindi più di due terzi degli interpellati sono sulla nostra linea. Questa percentuale coincide con quella risultante da altri sondaggi: che la magistratura non gode più della fiducia della maggioranza dei cittadini. E lo dico con dolore: quando ho iniziato a indossare la toga, l’80% era con noi». 

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E dunque? 
«Dunque è assai grave che i magistrati protestino per un test che peraltro ci è stato suggerito dalle commissioni di Camera e Senato e che ormai è obbligatorio per chiunque, pubblico o privato, rivesta cariche importanti. Faccio due esempi. Primo: il pm è capo della polizia giudiziaria, per la quale il test è obbligatorio; secondo: i magistrati hanno il porto d’armi di diritto, mentre il cittadino comune, per ottenerlo, deve sottoporsi a esami rigorosi. Basterebbe questo per chiudere l’argomento. In realtà il test è previsto per i magistrati in molti paesi, vista la delicatezza del loro compito. E sono lieto che un grande giurista come Sabino Cassese si sia dichiarato favorevole. Speriamo che i magistrati leggano bene il decreto, temo che fino ad ora abbiano discusso sul sentito dire. Se poi, come minaccia l’Anm, rispondessero con uno sciopero, gli italiani non li capirebbero. Riesumerebbero le vecchie polemiche, in parte infondate, che i giudici sono pagati troppo, lavorano poco e non rispondono a nessuno. Critiche, ripeto, ingiuste, ma purtroppo radicate. E la loro protesta sarebbe vista come l’ennesima reazione di una casta corporativa».

Avete già stabilito come si procederà in concreto? Si è parlato di un coinvolgimento del Csm nella procedura: vuole spiegarcela?
«Tutta la procedura sarà gestita dal Csm, e già questo basterebbe a eliminare ogni sospetto di ingerenza governativa. Nelle commissioni esaminatrici ci sarà sempre un docente universitario esperto del settore. La procedura, i test, e la valutazione, saranno decisi dalla Commissione, presieduta da un magistrato. Dopo il superamento della prova scritta, il candidato eseguirà il test, probabilmente scritto, seguito da un colloquio durante la prova orale, esattamente come per la verifica di conoscenza di una lingua straniera. Il giudizio finale sarà affidato alla Commissione. Non vedo proprio dove sia l’umiliazione del candidato e tantomeno della magistratura». 

Nei giorni scorsi si è molto scritto del cosiddetto “Test Minnesota”, messo a punto nel 1942 e tutt’ora in uso anche nella selezione del personale di aziende private. Ma non è l’unico dei test piscodiagnostici esistenti, senza contare che, per come è formulato, c’è chi teme che potrebbe essere falsato dando risposte non veritiere a domande come «A volte provo un forte impulso a fare qualcosa di dannoso o sconveniente: vero o falso». Avete già ipotizzato quale metodo verrà adottato per le nostre toghe?
«Come ho detto sarà la Commissione a decidere la procedura dei test. Il Minnesota, opportunamente aggiornato, è considerato tra i più affidabili. Ma può esser sostituito o integrato da altri. Lo decideranno il Csm e la Commissione». 

Visto che nel sondaggio di cui parlavamo c’è chi vorrebbe che lo stesso test venisse esteso anche ad altre cariche pubbliche, qual è il suo parere?
«Di fatto accade già. Per le cariche più investite di responsabilità, come le forze dell’ordine, può durare anche tre giorni. Se poi si vuole estenderlo a tutti, ben venga». 

Venendo agli altri temi caldi in materia di giustizia, tra le riforme istituzionali annunciate dal governo la separazione delle carriere aveva un posto d’onore. E’ realistico che si arrivi a un primo sì prima delle elezioni europee? E avete già pensato a come evitare di sommare due referendum costituzionali visto che ci sarà anche quello del premierato?
«La separazione delle carriere è nel nostro programma, e tra aprile e maggio presenteremo il disegno di legge costituzionale. I tempi, rispetto a quello sul premierato, sono ancora da decidere, ma saranno brevi. Comunque, poiché la maggioranza è solida e la legislatura durerà 5 anni, il tempo per entrambe le riforme ci sarà». 

Un altro dei capisaldi del fronte più garantista è il superamento dell’obbligatorietà dell’azione penale. Forza Italia chiede una legge che detti i criteri per la priorità delle procure come previsto dalla riforma Cartabia. Rientra nella sua agenda?
«Anche qui è necessaria una riforma costituzionale. In teoria l’obbligatorietà dell’azione penale è un principio giusto, perché assicura l’uguaglianza dei cittadini davanti alla legge. Ma in pratica da sempre è diventata discrezionale, anzi arbitraria, perché i pm indagano quando, come e chi vogliono, scegliendo secondo convenienza tra le migliaia di fascicoli che gestiscono. La soluzione più ragionevole sarebbe la definizione di un criterio di priorità affidato a un organo trasparente e responsabile. La commissione bicamerale di D’Alema, 25 anni, fa l’aveva individuato nel Parlamento. L’importante è che tutte le procure si comportino allo stesso modo, mentre oggi ciascuna va per conto suo». 

Il sovraffollamento delle carceri resta un’emergenza per il nostro Paese. Il Senato ha appena approvato un pacchetto di misure da lei voluto che prevede tra le altre cose un iter più garantista per la carcerazione preventiva. E’ una risposta anche ai ripetuti appelli dello stesso presidente Mattarella?
«Certo. Il 20% dei carcerati è in detenzione preventiva. I rigorosi paletti che il cosiddetto ddl Nordio ha posto per entrare in prigione prima del processo ridurrà questa percentuale. Il provvedimento sarà approvato definitivamente tra pochi giorni, ma naturalmente non basta. Bisogna intervenire sui tempi dei processi, e soprattutto sulla detenzione differenziata dei tossicodipendenti. Quanto ai suicidi, ho appena firmato un decreto che stanzia per quest’anno 5 milioni di euro aggiuntivi per potenziare il servizio di assistenza psicologica ai carcerati. E’ una cifra che raddoppia lo stanziamento precedente. Stiamo lavorando molto anche sull’edilizia carceraria, anche se qui i tempi sono più lunghi». 

Restando sul tema sovraffollamento, sul nostro giornale di ieri abbiamo annunciato il progetto del governo di stringere accordi bilaterali con i Paesi d’origine per far scontare ai detenuti stranieri le condanne nei rispettivi Paesi, a cominciare da quelli africani. Naturalmente andrà prima accertato il rispetto dei diritti umani in quei sistemi carcerari: ha già un’idea di quando potrebbero essere attivate le prime intese?
«Si tratta di un passaggio storico, perchè buona parte dei nostri detenuti sono stranieri, quindi l’esecuzione della pena nei paesi di provenienza avrebbe il duplice effetto di ridurre il sovraffollamento carcerario e di consentire la vicinanza alle loro famiglie. Alcuni accordi bilaterali in questo senso già esistono, dobbiamo estendere a curarne l’esecuzione. Quanto al criterio di Paese sicuro, che rispetti i diritti umani, questo è un giudizio politico che spetta al governo. Certo non può esser lasciato all’arbitrio della magistratura, che non ne ha né la competenza né l’autorità».

Si è parlato pure di una revisione della legge Severino sulla decadenza. Per cambiarla come?
«Credo che tutti siano d’accordo sul fatto che una sanzione come la rimozione dalla carica senza una sentenza definitiva sia contraria al buon senso. Cercheremo di modificarla con il massimo accordo possibile, anche dell’opposizione, tenendo anche conto del bilanciamento tra la gravità dei reati e il principio di presunzione di innocenza». 

Avete avviato la riforma delle intercettazioni, lei ha promesso che si occuperà in prima persona della normativa sui trojan. Come sarà rivista?
«Il nostro ufficio legislativo, composto di valenti magistrati e ora anche da avvocati, ha lavorato, insieme alla commissione presieduta da Giulia Bongiorno, su questo delicatissimo tema. I risultati si vedranno tra breve. Ma in realtà il problema del trojan è gia secondario. Quello vero è il sequestro dei telefonini, che contengono l’intera vita di un individuo, e spesso anche di chi corrisponde con lui. Oggi è normale che Tizio mandi a Caio la radiografia sua – o di un familiare – per farla veder a un medico amico. Lo stesso per le cartelle cliniche, le dichiarazioni dei redditi, le immagini intime e mille altre cose. E’ spaventoso pensare che tutto questo possa finire in mani di terzi con la sola firma di un pm. Faremo una riforma radicale». 

Infine ministro doveroso chiederle se ci sono novità sulla vicenda Salis. Il governo ungherese è tornato a dire che “nessuna richiesta diretta da parte del governo italiano renderà più semplice difendere la causa di Salis, perché l’esecutivo di Budapest, come in qualsiasi altra democrazia moderna, non ha alcun controllo sui tribunali”. Non c’è proprio nulla che si possa fare per riportarla in Italia?
«La risposta del governo ungherese è quella che avrebbe dato qualsiasi governo in un caso analogo. Il potere esecutivo, in un regime democratico, non può intervenire sulle decisioni del magistrato. Se poi si ritiene, a torto o a ragione, che i giudici ungheresi siano sensibili alle pressioni politiche, allora la strategia della protesta vociferante è ancora più sbagliata, perché irrita l’interlocutore e lo irrigidisce nelle sue posizioni. In questo casi bisogna agire in silenzio, con prudenza e pazienza, come è stato fatto in altri casi. Io sono molto vicino umanamente al padre della Salis, che ho ricevuto due volte, ma temo che l’enfatizzazione politica non giovi a un risultato positivo e concreto». 

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