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Omicron 10 volte più letale della semplice influenza. Andreoni: «Presto per equipararli»

Omicron 10 volte più letale della semplice influenza. Andreoni: «Presto per equipararli»
Omicron 10 volte più letale della semplice influenza. Andreoni: «Presto per equipararli»
di Mauro Evangelisti
Articolo riservato agli abbonati
Mercoledì 12 Gennaio 2022, 22:08 - Ultimo agg. : 14 Gennaio, 09:14
5 Minuti di Lettura

«Ancora è presto. Pensare di trattare, dal punto di vista epidemiologico e di prevenzione, il Covid come una semplice influenza è inaccettabile. Io vedo che il nostro reparto si sta di nuovo riempendo e tra i pazienti più gravi molti sono stati contagiati dalla Omicron. Non deve passare la falsa notizia che questa variante non sia insidiosa. Certo, questi ricoverati non erano vaccinati». Il professor Massimo Andreoni è il direttore scientifico della Simit, la società italiana malattie infettive e tropicali. Ma è anche il primario del reparto di Malattie infettive di uno degli ospedali romani più importanti, il Policlinico Tor Vergata. «Mi creda - spiega - vedendo la pressione che c’è da noi come in tutti gli ospedali di pazienti Covid, l’idea di considerare già oggi il Covid alla stregua dell’influenza appare inopportuna. Magari potrà succedere in futuro, ma non siamo ancora in quella fase». 

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In Spagna il governo di Sanchez ci sta però pensando. E anche nel Regno Unito Boris Johnson, al di là dei suoi guai legati alla festa organizzata durante il lockdwon, sta andando verso una normalizzazione. Una parte degli scienziati chiede di non fornire più i dati giornalieri dei contagi, considerati fuorvianti. «Ma una cosa è mantenere i nervi saldi e affrontare con raziocinio questa nuova fase della pandemia, sapendo di avere a disposizione armi come vaccini, monoclonali e antivirali, un’altra è pensare che non siamo ancora in una fase delicata» allarga le braccia Andreoni. Tenendo conto che dovremo anche affrontare, nei prossimi mesi, il problema di una parte dei pazienti guariti che continuano a soffrire dei sintomi di long Covid, le conseguenza anche a lungo termine della malattia. è un’altra differenza rispetto all’influenza, che una volta passata non lascia strascichi. 

Partiamo dai numeri. In Italia il monitoraggio dell’influenza, i cui dati vengono riportati sul sito dell’Istituto superiore di sanità-Epicentro, non sono dettagliati come quelli del Covid. Però la stima annuale, secondo ricerche che tengono conto anche dell’eccesso di morti rispetto all’atteso, fissa in 8.000 i decessi da influenza. Non sono solo quelli diretti, ma anche quelli indiretti: magari l’influenza ha fatto aggravare altre patologie. In sintesi: 8.000 è un dato prudenziale. Il Covid ci ha abituato, purtroppo a cifre molto differenti. Nel 2021, dunque con il Paese di fatto aperto ma anche con lo scudo dei vaccini, i morti sono stati otto volte tanti rispetto all’influenza, 63.243. Il paragone, dunque, non regge. Non solo: il Covid, rispetto all’influenza, incide molto di più sui sistemi sanitari e anche sull’economia, visto che oggi abbiamo 2,2 milioni di persone contagiate e prigioniere in casa (nella stragrande maggioranza dei casi per fortuna non sono in ospedale) che dunque non possono andare al lavoro. A questi vanno aggiunti i contatti stretti che, se non vaccinati con terza dose, devono comunque rispettare la quarantena. Negli ospedali i numeri sono impietosi. Certo, anche l’influenza, nei suoi picchi stagionali, metteva in difficoltà in particolare i pronto soccorso, ma con Sars-CoV-2 sono i reparti a non reggere. Non esistono dati sui ricoveri per influenza, ma ciò che vediamo oggi, pur in presenza dello scudo dei vaccini, sono i posti letto occupati da pazienti Covid che continuano ad aumentare: siamo arrivati a 19.000. «Quando potremo cominciare a ragionare su un ritorno alla normalità - osserva il professor Andreoni - dovremo avere già rinforzato gli ospedali, aumentato i posti e il personale per rispondere a ogni ondata». Non si fa dall’oggi al domani, perché mancano le figure professionali, non ci sono sufficienti medici e infermieri formati da assumere. Serviranno anche professionisti che si prendano cura delle persone che hanno superato l’infezione ma che soffrono di long Covid, cosa che normalmente con l’influenza non avviene. Di quanti pazienti stiamo parlando? 

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Alcune ricerche ipotizzano il 50% di chi è stato ricoverato in ospedale, un recente studio realizzato in Lombardia si ferma al 42%, ovviamente con una gradazione di gravità differente. Su 858 pazienti visitati dalle Pneumologie Lombarde, ha spiegato a “Quotidiano sanità” il dottor Michele Vitacca, Direttore Dipartimento Pneumologia riabilitativa ICS Maugeri «il 21 per cento era stato ricoverato in Terapia Intensiva, il 60 in ventilazione. Bene, solo il 58 per cento dei casi non presentava alcun livello di disabilità mentre rispettivamente il 20, il 12, il 6 e il 4 per cento avevano una disabilità lieve, media, avanzata o estremamente avanzata». La ricerca conclude che gli effetti a lungo termine più frequenti sono di natura respiratoria, neurologica (“nebbia cerebrale”); ci sono anche la difficoltà di memoria, la cefalea, sintomi gastroenterici e cardiovascolari. Ma la situazione sta migliorando? «Abbiamo più armi - dice Andreoni - Un tipo di anticorpi monoclonali dà ottimi risultati anche con la Omicron, ma questo ci costringe ogni volta a fare il sequenziamento per non usare quelli sbagliati. Cominciamo a utilizzare il nuove retrovirale Molnupiravir, che però funziona solo a inizio della malattia e ancora non si può dare a tutti». Presto arriverà quello di Pfizer. E poi abbiamo i vaccini, che per fortuna riducono i ricoveri. «Ma una cosa è dire che la situazione sta migliorando, un’altra è pensare che possiamo già considerare Covid alla stregua dell’influenza. Certo, la Omicron causa in percentuale meno ricoveri, ma grandi numeri, visto la sua trasmissibilità, manda molte persone in ospedale ed è anche letale. E ancora non sappiamo come sarà la prossima variante, per dirla tutta».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
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