Scuola tempo pieno, con il Covid dilaga il divario Nord-Sud

Scuola tempo pieno, con il Covid dilaga il divario Nord-Sud
di Marco Esposito
Martedì 21 Settembre 2021, 07:00 - Ultimo agg. 22 Settembre, 09:27
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Il divario a scuola inizia presto. Già con l'asilo nido - è cosa nota - ma si allarga alla scuola primaria, cioè alle elementari, per la fortissima differenza nel servizio a tempo pieno. E il divario, dopo i due anni di effetto Covid, tende a crescere: dove la primaria con 40 ore settimanali è già radicata, sono aumentate fortemente le richieste e il servizio è stato rafforzato. Dove invece, come al Sud, l'offerta era già molto limitata, i genitori hanno confermato in sostanza le richieste degli anni passati e l'offerta resta lontanissima degli standard nazionali. Pochi numeri per capirsi: in Emilia Romagna il servizio di scuola primaria a tempo pieno già raggiungeva prima del Covid un bambino su due, accogliendo oltre il 90% delle richieste dell'anno scolastico 2019/2020; quest'anno c'è stato un aumento di iscrizioni di quasi sette punti percentuali: dal 53,9 al 60,7%. Con un tasso d'accoglienza intorno al 90% ciò equivale al 54-55% di bambini che frequenteranno il tempo pieno. In Campania invece il servizio è fermo al 18% con un tasso di accoglimento delle domande limitato a due bambini su tre: le richieste - che due anni fa erano al 25,7% - sono aumentate di un solo punto a 26,7% ma con un tasso di accoglimento basso, appena un bambino su cinque frequenterà davvero la scuola a tempo pieno: in due anni, dopo l'ondata della pandemia, la distanza già forte dall'Emilia Romagna sale quindi da 31 punti percentuali (49%-18% nel 2019) a 35 punti percentuali (54%-19% nel 2021). In pratica il divario Nord-Sud - già fortissimo sul tempo pieno - sta dilagando con conseguenze forti sulla qualità dell'apprendimento, nonché sul contrasto alla dispersione scolastica e alla povertà educativa. 

Sul trend delle richieste dei genitori, va chiarito un equivoco. Un report dell'Invalsi, analizzando i dati dell'anno scolastico 2021/2022, segnala che sono «8 le regioni più interessate al tempo pieno» e cioè quelle del Nord con in testa Lazio, Piemonte ed Emilia Romagna e con l'incremento più forte in Lombardia. Ma l'interesse al tempo pieno non è una libera scelta come una vacanza al mare o in montagna perché le richieste dei genitori sono strettamente legate alla disponibilità dei posti, che in quasi tutte le regioni meridionali (l'eccezione positiva è la Basilicata) mancano. Ecco perché è proprio il Sud il posto dove, scoraggiati, meno genitori si sono orientati sul tempo pieno, con il caso della Calabria, proprio la regione scelta dal ministro Patrizio Bianchi per la cerimonia di apertura dell'anno scolastico, nella quale le domande di tempo pieno si sono ridotte rispetto a prima dell'emergenza Covid, unico caso in Italia.

La carenza di tempo pieno al Sud va a braccetto con la possibilità dei Comuni di garantire adeguati servizi accessori, dal trasporto degli alunni alle mense scolastiche.

Qui c'è un problema aggiuntivo: le statistiche che raccontano i divari si sono trasformate in regole che alimentano i divari stessi. Anche qui è utile qualche cifra: la spesa dei Comuni per i servizi accessori d'istruzione come appunto la mensa scolastica ha come valori estremi in Italia l'Emilia Romagna con 116 euro per residente e la Calabria con 37 euro. La Campania è molto più vicina all'estremo inferiore, a quota 40 euro. Ebbene, a partire dal 2015 si è deciso di utilizzare questa rilevazione statistica per misurare il diritto futuro di ciascun territorio, per cui si è stabilito che un bimbo emiliano avrà più bisogni rispetto a un bambino residente in Calabria o in Campania. E visto che il sistema che fa muovere il Fondo di solidarietà comunale è appunto solidale, è necessario andare in soccorso verso chi ha maggiori fabbisogni cioè appunto i bambini dell'Emilia Romagna ai quali vengono garantite - con i soldi della solidarietà di tutti i Comuni - non solo le mense scolastiche ma le vacanze estive. Mentre a chi frequenta le scuole campane o calabresi, visto che i bisogni riconosciuti con i fabbisogni standard sono minori, spetta poco e niente. Un po' il meccanismo degli asili nido con la differenza che mentre gli zeri dei nidi dopo i ricorsi di una settantina di sindaci sono stati cancellati sin dal 2020, il principio delle mense scolastiche zero è ancora in vigore. 

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Ecco perché i principi, condivisibili, fissati da Bianchi nell'Atto di indirizzo politico-istituzionale per il 2022 vanno tradotti in immediate modifiche di storture che oggi finiscono per l'accrescere i divari. I casi sono noti: il fondo 0-6 per l'infanzia è assegnato in larga parte in base agli iscritti agli asili nido esistenti; il fabbisogno standard per il servizio di asili nido, anche se non contiene più la vergogna degli zeri, ha parametri in molti casi inferiori al 10% a fronte del 33% indicato come minimo dall'Europa; i fondi del bando da 700 milioni per l'edilizia scolastica sono stati riservati per il 60% ai Comuni svantaggiati ma inserendo nell'elenco degli svantaggiati Milano, Torino, Genova, Parma eccetera, tutte città che hanno (legittimamente) partecipato al primo bando del Pnrr, scalzando Comuni realmente svantaggiati grazie alla regola del bonus punti per cofinanziamento, un vero assurdo logico perché se un Comune è svantaggiato non ha senso che sia premiato chi ha più soldi in cassa. E così in una sorta di poker truccato Milano ha messo sul piatto 3 milioni di euro di cofinanziamento mentre Venafro, in provincia di Isernia, appena un millesimo: 3.000 euro. Almeno non si dica che i genitori di Venafro sono poco interessati a una scuola di qualità. 

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