Papa Francesco: «La cultura russa non va cancellata». E sulla salute: «Il prossimo viaggio? Lo farà Giovanni XXIV»

Le parole del Pontefice in aereo dopo quattro giorni trascorsi a Ulan Bator

Papa Francesco: «La cultura russa non va cancellata». E sulla salute: «Il prossimo viaggio? Lo farà Giovanni XXIV»
Franca Giansoldatidi Franca Giansoldati
Lunedì 4 Settembre 2023, 17:03 - Ultimo agg. 5 Settembre, 00:15
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Papa Francesco sospettato di essere filorusso per avere parlato nei giorni scorsi della 'grande Russia' si difende mentre torna dalla Mongolia e fa una distinzione importante tra l'imperialismo ideologico e la cultura russa che nei secoli ha dato al mondo geni assoluti come Dostojevski. Mentre è in volo durante la conferenza stampa alla quale partecipano le maggiori testate internazionali tocca poi altri temi delicati, per esempio il rapporto con la Cina che definisce buono e progressivo, la situazione delle periferie italiane degradate dopo il caso di Caivano e, infine, la sua salute. Dopo quattro giorni trascorsi a Ulan Bator l'86enne pontefice sembra effettivamente provato dalla fatica. I prossimi viaggi saranno a Marsiglia e forse in Kossovo poi però aggiunge che ora è tutto più difficile visto che fatica a camminare. Quanto ad una possibile visita in Vietnam Bergoglio lascia aperta la porta al suo successore al quale individua già un nome: «Sarà sicuramente Giovanni XXIV» dice scherzando.

Recentemente ha fatto discutere il suo riferimento alla grande Russia. Le sue affermazioni su Caterina II e Pietro il Grande hanno irritato gli ucraini. Le sue parole sono state interpretate filorusse. Le ripeterebbe? 

«Quel dialogo è stato fatto con i giovani russi: alla fine del discorso davo loro un messaggio che ripeto sempre ai ragazzi e e dappertutto. E cioè di farsi carico della loro eredità. Un concetto che fa riferimento al dialogo tra nonni e nipoti. E questo è stato il senso del mio annuncio. Ho esplicitato il concetto di grande Russia perché l'eredità culturale russa è bella e buona, pensate al campo delle lettere, della musica. Pensate a Dostojevski che ancora oggi ci parla di un umanesimo maturo che si sviluppa nell'arte. La cultura russa è di una bellezza, di una profondità molto grande e non va cancellata per problemi politici. Forse il mio intervento non è stato felice ma il senso delle mie parole non era geografico ma culturale. Francamente a me è venuto in mente quello che ci hanno insegnato a scuola, con Pietro primo e Caterina. Forse non era proprio giusto e gli storici ci diranno, ma a me e venuto in mente perché l'ho studiato. Ai giovani ho detto solo di farsi carico della propria eredità». 

Non ha pensato che quelle parole potessero evocare una visione imperialista?

«Non ci ho pensato. Mi riferivo alla cultura e la cultura non è mai imperiale, insegna semmai a dialogare. E' vero che ci sono imperialismi che vogliono imporre la propria ideologia, ma bisogna distinguere tra cultura e ideologia. Questo lo dico per tutti e vale anche per la Chiesa dove a volte ci finiscono le ideologie che la staccano dalla vita che viene dalle radici e la rendono incapace di incarnarsi e di dialogare».

Le periferie in Italia sono in grande sofferenza, ci sono stati gravi episodi di violenza e degrado. Cosa pensa possa fare la Chiesa assieme alle istituzioni per migliorare la situazione?

«Si deve andare avanti a lavorare assieme.

Dobbiamo essere aperti e i governi devono essere aperti. Tutti i governi del mondo lavorino per la giustizia sociale che non è mai assistenza». 

Quale è stato il principale scopo di questa sua visita in Mongolia?

«L'idea di visitare la Mongolia mi è venuta pensando alla piccola comunità cattolica. Intraprendo questi viaggi per andare a conoscere le comunità cattoliche ma anche per entrare in dialogo con la storia e la cultura del luogo. L'importante naturalmente è che l'evangelizzazione non sia mai concepita come proselitismo. Benedetto XVI disse giustamente che la fede non cresce per proselitismo ma per attrazione, altrimenti diventa colonizzazione religiosa». 

Una trasferta anche simbolica considerando che la Mongolia è tra Cina e Russia?

«La Mongolia e il suo popolo hanno una vocazione interessante che favorisce il dialogo tra l'Europa e l'Asia. Mi permetto di chiamare questa attitudine la “mistica del terzo vicino”, un fattore che le permette di andare avanti. Pensate: Ulan Bator è la capitale di un paese più lontana dal mare, una terra tra due grandi potenze, la Russia e la Cina, ma la forte spinta al dialogo le fa avere buon rapporti con tutti. Un'ansia di universalità che permette di ricevere valori e mostrare al mondo i propri. Una grande ricchezza». 

Lei ha inviato un messaggio di auguri al “grande popolo cinese”, raccomandando ai cattolici di essere sempre buoni cittadini eppure Pechino non ha permesso ai vescovi di espatriare per raggiungerla a Ulan Bator. Come sono i rapporti e a che punto è la missione di Zuppi a Pechino?

«La missione del cardinale Zuppi è una missione di pace e lui ha già visitato Kiev, Mosca e gli Stati Uniti e ora deve andare Pechino; è un uomo di grande dialogo e universalità ed è stato scelto per questo. I rapporti con la Cina sono molto rispettosi, ho ammirazione per quel popolo. E' stata istituita una commissione per la nomina dei vescovi e si dialoga. Ci sono poi tanti scambi con intellettuali e sacerdoti invitati nelle università cinesi. Dobbiamo quindi andare avanti sotto l'aspetto religioso per comprenderci e fare in modo che i cittadini cinesi non abbiano a pensare che la Chiesa non accetta la cultura e i valori cinesi oppure, addirittura, che la Chiesa dipenda da una potenza straniera. Questa strada amichevole la sta già percorrendo la commissione per le nomine episcopali e mi sembra che stia facendo un buon lavoro. I rapporti sono in cammino». 

I rapporti tra Santa Sede e Vietnam sono positivi. Ha in mente un viaggio in Vietnam e quali sono le prossime trasferte? 

«Il Vietnam effettivamente rappresenta un'esperienza di dialogo davvero bella che ha fatto la Chiesa negli ultimi tempi, con una certa simmetria delle parti per cercare strade per andare avanti. Ci sono stati problemi in passato ma sono stati superati. Il Presidente di recente è venuto a trovarmi e abbiamo parlato liberamente. Anni fa è arrivato in Vaticano un gruppo di parlamentari vietnamiti e anche con loro abbiamo avuto un buon dialogo. Questo dimostra che quando una cultura si apre il dialogo decolla, mentre se c'è chiusura o dei sospetti tutto si complica. Quanto ai viaggi non so se andrò in Vietnam, oppure ci andrà Giovanni XXIV, tuttavia di sicuro in futuro si farà. Il Vietnam ha la mia simpatia, è una terra che si merita di andare avanti. Prossimamente andrò a Marsiglia e poi stiamo studiando un'altra trasferta in un piccolo paese in Europa. Stiamo vedendo. Certo che per me viaggiare adesso non è facile come lo era all'inizio, ci sono evidenti limitazioni come camminare». 

Lei sta scrivendo un aggiornamento alla enciclica Laudato Sì. Cosa può anticipare e come valuta certe proteste spettacolari dei giovani attivisti che imbrattano le opere d'arte?

«I giovani sono preoccupati per il loro futuro ma io non amo gli estremismi. Tempo fa mi ha colpito un signore italiano che durante un convegno ha espresso timori per il futuro della sua nipotina nata il giorno prima, in un mondo così. Ovviamente i giovani pensano al domani e in questo senso mi piace che lottino bene. La mia esortazione che arriva dopo la Laudato Sì uscirà il giorno di San Francesco ed è una revisione di quello che è accaduto dopo l'accordo sul clima di Parigi, che è stato il piu importante. E' una analisi della situazione». 

Tra poco a Roma si aprirà il Sinodo dei Sinodi e la Chiesa appare polarizzata. Come evitare questa polarizzazione tra progressisti e conservatori?

«Nel Sinodo non c'è posto per le ideologie perché ha un'altra dinamica. È il dialogo dei battezzati sulla vita della Chiesa con il mondo. Quando, invece, si pensa a una strada ideologica ecco che finisce il Sinodo». 

Ma perché i dibattiti durante il Sinodo sono sempre semi segreti?

«Una cosa che dobbiamo custodire è il clima sinodale. Il Sinodo non è un programma televisivo dove si parla di tutto, ma è un momento religioso. Del resto basta pensare che i padri sinodali parlano per tre minuti e poi osservano tre minuti di preghiera. Senza questo spirito non c'è spirito di sinodalità e tutto diventa politica, una specie di parlamento. Naturalmente ci saranno dei comunicati stampa».

Il cardinale Burke dice che questo Sinodo per la Chiesa sarà come il vaso di Pandora?

«Alcuni mesi fa ho chiamato un monastero e le monache mi hanno detto che avevano paura che si potesse cambiare la dottrina cattolica. C'è purtroppo questa idea. Quando nella Chiesa si vuole staccare il cammino di comunione c'è l'ideologia. A volte è la vera dottrina cattolica a scandalizzare. Il protagonista del Sinodo è solo lo Spirito santo».

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