La collina degli audaci,
quando a Napoli
sfrecciava Nuvolari

La collina degli audaci, quando a Napoli sfrecciava Nuvolari
di Vittorio Del Tufo
Domenica 2 Febbraio 2020, 13:12 - Ultimo agg. 3 Febbraio, 13:41
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«Nuvolari è bruno di colore
Nuvolari ha la maschera tagliente
Nuvolari ha la bocca sempre chiusa
di morire non gli importa niente»
(Lucio Dalla, Nuvolari)

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Si può raccontare l'epica di un luogo attraverso lo sport? Si, se quel luogo è Posillipo, la collina del mito, e se lo sport è l'automobilismo dei pionieri, dei grandi vecchi, dei campioni senza macchia e senza paura. C'è stato un tempo in cui quella di Posillipo era la collina degli audaci, come raccontavano le enfatiche cronache dell'epoca descrivendo le gesta di «corridori eroici, sprezzanti del pericolo». Tra gli anni Trenta e i Sessanta si è svolto a Napoli (con una lunga parentesi dovuta alla guerra) un evento sportivo straordinario: un gran premio automobilistico, che ha visto gareggiare molti dei grandi campioni di quegli anni e molte delle auto che hanno scritto la storia dello sport motoristico, fino alla Formula Uno.

Il circuito era simile a quello di Montecarlo. Fu inaugurato il 21 ottobre 1934, per quella che all'epoca si chiamava Coppa Principessa di Piemonte (divenne Gran Premio di Napoli a partire dal 1948). Vinse Tazio Nuvolari su una Maserati 6c - 3,7 litri con compressore. Il tracciato alternava pianura, salita e discesa, snodandosi tra il rettilineo del Parco Virgiliano e via Tito Lucrezio Caro (che pena vederlo oggi, quel luogo, ridotto a cimitero di pini), un breve tratto di via Coroglio, via Boccaccio, via del Casale (oggi via Giovanni Pascoli), il tratto basso di via Manzoni. Quattro chilometri e cento metri da percorrere (quasi sempre) 60 volte, per un totale di 246 chilometri. Diverse le categorie di auto da corsa: Formula 1, Sport, Formula Junior, Turismo e Gran Turismo.
A darsi battaglia erano Ferrari, Maserati, Alfa Romeo, Lancia, Cisitalia, OSCA e un discreto numero di auto straniere tra le quali ERA, HVM, Gordini, Porsche, Connaught, Lotus, Cooper. Ai tantissimi piloti di fama come Ascari, Fangio, Baghetti, Bandini, Bonnies, Collins, Scarfiotti, Villoresi bisogna aggiungere l'agguerrita pattuglia dei napoletani: Auricchio, Bellucci, Boffa, de Filippis, Maglione, Ricciardi, Rocco, Ruggiero. Un volume corredato da splendide immagini - scritto tempo fa dal giornalista Sergio Troise e dall'esperto di automobilismo Massimo Nobile - restituisce intatte le emozioni di quella che può ancora oggi essere considerata tra le epoche più felici dell'automobilismo italiano (e della collina di Posillipo).

Troise racconta l'epica di quegli anni. «Il pubblico arrivava nella zona dei circuito con le (poche) auto private e con mezzi pubblici che effettuavano corse speciali per avvicinare gli spettatori alla cima della collina. La gente si assiepava sulle tribune allestite lungo il rettilineo del parco, ma anche sui muretti e sui terrapieni. Sempre strapieni erano balconi e terrazze dei palazzi circostanti. Incontrollabile l'eccitazione tra gli studenti del Denza, l'istituto scolastico retto dai Barnabiti, situato proprio lungo il percorso». Ci sono state edizioni memorabili, in cui si contarono, secondo le cronache dell'epoca, ottantamila presenze.

Manuel Fangio, cinque volte campione del mondo - il più titolato prima dell'era Schumacher e Hamilton - non riuscì a vincere a Napoli, ma amava quel circuito e nel 1982, rievocando le corse posillipine, racconto di un percorso «pieno di insidie, come gli spigoli dei marciapiedi, per non dire degli alberi disseminati lungo i tratti in discesa, un vero incubo». Oggi il campione non correrebbe gli stessi rischi, perché gli alberi stanno scomparendo dalla cartolina di Posillipo.

E poi Nuvolari, il più grande di tutti. Sicuramente il più audace, capace di esaltare le folle con imprese impossibili, come guidare un'auto con una gamba ingessata o raggiungere il traguardo reggendo un moncone di sterzo. A Napoli Nuvolari vinse il 21 ottobre 1934, quando la coppa si chiamava Principessa di Piemonte in omaggio alla consorte del principe ereditario Umberto di Savoia, Maria Josè del Belgio, futura regina d'Italia. Umberto viveva a Napoli, dove era appena nata, il 24 settembre, la primogenita Maria Pia. Il Mattino scrisse con enfasi: «La coppa (...) avrà oggi il suo degno battesimo di gloria, che dovrà costituire il viatico migliore perché il primo circuito di Napoli assurga a gara internazionale classica, perpetua». Siamo nel cuore del Ventennio, la Nazionale di calcio ha appena vinto il suo primo Mondiale con Vittorio Pozzo e le imprese dei campioni dello sport vengono sfruttate dal regime come occasioni di propaganda. Nuvolari, il «mantovano volante» come lo definì Gabriele D'Annunzio, domina e vince, senza rinunciare a sorpassi azzardati. «Andrebbe severamente punito - scrisse Mario Argento sul Mattino - ma si sa, agli idoli si perdona tutto». Alle sue spalle le Alfa Romeo della scuderia Ferrari affidate al conte Antonio Brivio Sforza e a Mario Tadini.

A Napoli diedero spettacolo in tanti. Nel 1956 la contesa Maria Teresa de Filippis, napoletana purosangue, prima donna della Formula 1 e unica rappresentante femminile cimentatasi nel circuito di Posillipo, infiammò il pubblico con una straordinaria rimonta che le valse il secondo posto al volante di una Maserati nella categoria Sport. Amava a tal punto Napoli, la de Filippis, da chiedere che le sue ceneri venissero disperse a Capri, al largo dei Faraglioni. Le ultime due edizioni del gran premio, 1961 e 1962, furono dominate dalle Ferrari di Giancarlo Baghetti, all'epoca astro nascente del nostro automobilismo, e Willy Mairesse, pilota belga dal temperamento focoso, che «superò Lorenzo Bandini, altro talento emergente della scuola italiana, violando gli accordi di scuderia presi prima del via» (Nobile-Troise, La collina degli audaci). All'inizio degli anni 80 qualcuno accennò alla possibilità che Napoli riavesse il gran premio. «Ma nessuno - ricorda Troise - si dimostrò seriamente convinto della possibilità di portare avanti un progetto».

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L'organizzazione del gran premio fu sempre curata, dal 34 al 62, dall'Automobile Club di Napoli, fondato all'alba del secolo dall'architetto visionario Lamont Young, l'uomo che progettò, tra l'altro, la prima metropolitana della città. Fior di giornalisti - e che giornalisti! - scrissero del gran premio di Napoli illudendosi che quella stagione di gloria potesse durare in eterno: da Gino Palumbo a Mario Argento, da Felice Scandone a Mario Ciriachi. E i sindaci dell'epoca? Non mostrarono altrettanto entusiasmo. Achille Lauro, che fu sindaco di Napoli dal 52 al 57, e per dieci mesi nel 61, snobbò l'evento lasciando volentieri la scena al suo concittadino di Sorrento Tommaso Astarita (presidente dell'Automobile Club dal 52 al 56).

L'edizione del 1947 fu funestata dall'unico incidente mortale nella storia del circuito di Posillipo. Era il 3 agosto e il napoletano Vincenzo Borghese, che correva su una Fiat-Paganelli 1100, perse il controllo della macchina lungo la Discesa Gaiola. Finì contro un albero proprio al centro di una curva, che da quel giorno venne ricordata come «curva Borghese». Personaggio molto noto in città, titolare della Scuderia Partenope, il pilota era il nonno del famoso chef e conduttore televisivo Alessandro Borghese. All'epoca le uniche protezioni, sui circuiti cittadini, erano costituite da balle di paglia più o meno voluminose, mentre il pubblico veniva tenuto debitamente a distanza con improbabili transenne di legno. Nel 1960 si sarebbe dovuta svolgere l'edizione numero 17 della corsa: fu cancellata, con un colpo di spugna, dagli scaramantici organizzatori, che decisero, con apprezzabile disinvoltura, di passare direttamente dalla sedicesima alla diciottesima edizione. Meglio non sfidare gli Dei, soprattutto a Posillipo.
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