Napoli del dopoguerra: tra i fantasmi di San Potito il sangue degli sconfitti

I luoghi e i volti del romanzo-capolavoro di Luigi Incoronato

Scala a San Potito
Scala a San Potito
di Vittorio Del Tufo
Domenica 28 Aprile 2024, 10:07
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«Finirai per uscirne. Non può durare così».
«Sono parole. Dura e durerà. Non voglio parole. Voglio uscire da quest'inferno».
«Come?»
«Non m'importa più come! Uscire, prima di morirci dentro».

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Via Pessina, interno giorno. In una città desolata, afflitta dalla miseria e ferita a morte dai bombardamenti, un gruppo di persone cerca rifugio tra le rampe di gradini bassi, di pietra scura, della Scala di San Potito. Sognano di trovare un'occupazione, di permettersi giorni migliori, un futuro dignitoso. Nel frattempo sono condannati a una vita immobile, nel buio polveroso e lurido della scala che congiunge via Pessina a via Tommasi. Rosa, Armando, Giovanni, il piccolo Antonio, l'ex guardiano Paolo, Maria, zio Gennarino, zio Pasquale: tra le ombre di San Petito va in scena la loro vita ed è la vita scarnificata di una città uscita a pezzi dalla guerra, umiliata e offesa, di certo disillusa. Sotto quel tetto improvvisato le loro storie si intrecciano dando vita a un romanzo corale, il romanzo (Scala a San Potito, ripubblicato di recente dalla Roberto Nicolucci editore) con il quale Luigi Incoronato entrò di diritto nel novero degli scrittori che fecero grande la narrativa napoletana tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta. Anni nei quali la città - come scrive Laura Cannavacciuolo, ricercatrice di Letteratura italiana contemporanea presso l'Università Orientale introducendo la nuova e raffinata edizione del romanzo - esprime una grande vitalità culturale e "cerca di uscire dall'isolamento del ventennio ricercando una dimensione europea».

A percorrerla oggi, la Scala di San Potito, si fa fatica a riconoscere il luogo dove Incoronato ha messo in scena i personaggi di Rosa, Armando, Giovanni, del piccolo Antonio, dell'ex guardiano Paolo e tutti gli altri, singoli e vagabondi, ma anche intere famiglie che realmente, nella Napoli di quegli anni, tra il 44 e il' 47, si accamparono in quella specie di albergo dei poveri a cielo aperto, dormendo sui gelidi pianerottoli e muovendosi, di giorno, alla ricerca di un lavoro che rappresentava ogni giorno di più un'illusione.

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Stacco, fine decennio 40, inizio 50. Periodo particolarmente fertile per la letteratura napoletana, vuoi per autore, vuoi per ambientazione. Videro la luce in quel periodo libri del calibro di Speranzella di Carlo Bernari, Spaccanapoli e Gesù fate luce di Domenico Rea, Il mare non bagna Napoli di Anna Maria Ortese, Un giorno d'impazienza di Raffaele La Capria, L'oro di Napoli di Giuseppe Marotta, e La pelle del toscano Curzio Malaparte, libro pieno di eccessi (vedi l'Uovo di Virgilio del 14 aprile) che valse all'autore l'unanime deplorazione da parte del Consiglio comunale di Napoli.

Ma erano, quelli, anche gli anni dell'Angiporto Galleria, la piazzetta-ombelico con le sue redazioni frequentate da scrittori e intellettuali come Mario Alicata, Maurizio Valenzi, Renato Caccioppoli, Massimo Caprara, Gerardo Marotta, Luigi Compagnone, Domenico Rea, Anna Maria Ortese.

È all'alba del nuovo decennio che Luigi Incoronato, anche lui frequentatore dell'ambiente dell'Angiporto, scrive il suo romanzo d'esordio e più famoso, Scala a San Potito, un racconto corale dell'umanità dolente che all'indomani della guerra occupava i pianerottoli della Scala di San Potito, nei pressi del Museo Nazionale. Incoronato era nato in Canada nel 1920; la madre piemontese di Asti, il padre molisano, della provincia di Campobasso. All'età di vent'anni la sua vita, come quella di tanti altri, fu sconvolta dalla chiamata alle armi, combatté sul fronte francese e su quello greco-albanese. Dopo un prima raccolta di poesie, Alzando le vele, il debutto come romanziere, nel 1959, proprio con Scala a San Potito, pubblicato da Mondadori nella collana «La Medusa degli italiani» che aveva già ospitato autori del calibro di Vittorini, Pratolini, Moravia, Buzzati, Bernari.

Incoronato fotografa nel suo racconto neorealista il periodo immediatamente successivo alla partenza dei soldati anglo-americani. Anni prima, grazie all'economia del vicolo e ai traffici del contrabbando, molte famiglie si erano arricchite e molte altre erano riuscite, semplicemente, a tirare avanti. Erano emersi dall'ombra personaggi destinati a diventare leggendari, come Gennaro Merolla, il famoso King Kong dei vicoli, il primo "re" di Forcella che fece affari d'oro con gli americani e costruì attorno al traffico di bionde un'organizzazione paramilitare. «Ormai - scrive Incoronato - gli americani se n'erano andati. I loro grandi depositi di mercanzie di ogni sorta si erano esauriti e le navi avevano portato vi giorno dopo giorno i reggimenti». Negli occhi dei disperati che occupano la Scala a San Potito Incoronato legge la nostalgia di quei due o tre anni durante i quali per le strade della città, a un ritmo vertiginoso, «si rincorrevano le colonne di automezzi carichi, e i magazzini militari straripavano di ogni merce».

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Allora, quando in città c'erano ancora gli americani, chi aveva fame poteva uscire la mattina e andare a caccia per la città. «Ora - scrive Incoronato - le cose sono mutate, e uscendo di mattina dalla Scala a San Potito quegli esseri umani avevano ben poche speranze di incontrare chi offrisse loro un tozzo di pane». Quella di Scala a San Potito è città di pietra, plumbea e piovosa, che nulla ha che vedere con la bellezza delle sue cartoline, o con gli sfondi delle guaches di fine Ottocento. Piove su via Pessina, su via Toledo, su piazza Dante. Piove sulla grande piazza della stazione dove l'io narrante accompagna il vagabondo Giovanni nel suo viaggio disperato verso la libertà dopo una notte allucinata e folle.

Tra degrado e piccoli litigi, con i loro dialoghi brevi e diretti, i personaggi di Scala San Potito si muovono in quell'inferno dal quale vorrebbero scappare. Rosa, Armando, Giovanni, piccolo Antonio, Paolo, Maria, zio Gennarino, zio Pasquale: dove siete adesso? Eravate fantasmi nelle pagine di Incoronato, siete fantasmi anche oggi, e per un attimo ci sembra di vedervi mentre ripercorriamo le scale di San Potito cercando le vostre ombre. Anche Incoronato, ombra tra le ombre di San Potito, cercò di scappare dal proprio inferno. Morì il 26 marzo 1967, suicida a 47 anni nella sua casa di Vico Piedigrotta. Napoli gli era entrata nel sangue, e forse quel sangue, a un certo punto della sua vita, dovette sembrargli talmente tossico da spingerlo a farla finita. Le ultime parole le scrisse per il figlio: «Caro Fabio, il male mi ha vinto, meglio concludere». Otto anni prima aveva dedicato questi versi all'amico Renato Caccioppoli, morto anch'egli suicida, a Palazzo Cellammare:

«Chi si uccide ammaina una bandiera
ma non tutte le vite sono uguali
né tutte le morti si ripetono
questo l'uomo quando è reale
e vorrei ben capire come tu
che tanto in alto avevi levato
la bandiera della vita
l'hai voluta ammainiare
in un giorno di maggio».

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