L'incontro con Jovanotti
Ma «il primo ad aprirmi una porta fu Lorenzo Jovanotti, con “Mondo” nel 2010. Mi disse: “Gli stadi un giorno saranno il tuo terreno di gioco”. Il giorno più bello lo ricorda ancora come fosse ieri: «Quando sono partito per il primo tour della mia vita con i Lùnapop, avevo 19 anni». Quel Cesare dei Lùnapop, quello con i capelli rossi, «un po' irriverente che imitava i suoi idoli glam e innervosiva i critici è qui, da qualche parte, in qualche gattabuia sotterranea della mia anima - racconta ancora al Corriere della Sera - Lo sento che urla in piena notte ogni tanto: “fatemi uscire”. Ma gli permetto di vedere la luce solo quando salgo sul palco, quando le luci di uno stadio si spengono e il boato del pubblico risuona fino alle sue orecchie. Allora, con me, c’è anche lui. Per il resto non sarebbero più tempi per tipi del genere, questi».
Poi la fine dei Lunapop e un lungo viaggio anche dentro di sé. Fino al lancio di quattro album, uno dietro l'altro e quattro tour con pochissimi paganti. «Il capo della Warner quando portai alla luce “Maggese” mi guardò con disprezzo: “Non ti paghiamo per questo”. I più giovani li avevo persi con la fine dei Lùnapop, per gli altri, non potevo avere una seconda possibilità. Ma andai avanti, album dopo album, facendo quello che secondo me era giusto. E così, a partire dal 2012 con “La teoria dei colori”, io e una nuova generazione pronta ad ascoltarmi di nuovo ci siamo incontrati».