Iva Zanicchi ricorda Mikis Theodorakis. L'incontro in ospedale: «Pianse per la mia voce. Fiume amaro il mio più grande successo»

Iva Zanicchi ricorda Mikis Theodorakis. L'incontro in ospedale: «Pianse per la mia voce. Fiume amaro il mio più grande successo»
di Totò Rizzo
Giovedì 2 Settembre 2021, 15:35
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«È stato il più grande autore di musica mediterranea del Novecento: dico mediterranea per intendere tutta la tradizione dei Paesi che si affacciano su quel mare, compreso il nostro. Le sue note erano e sono l’essenza di quello spirito, di quell’anima».

Iva Zanicchi è stata la prima cantante italiana a interpretare nella nostra lingua i brani del compositore greco morto stamattina. Sono nove canzoni racchiuse in un album, «Caro Theodorakis», la più nota è «Fiume amaro» che, sottolinea la Zanicchi, «rimane il mio più grande successo di vendite, il singolo raggiunse un milione di copie nel 1970».

Come nacque l’idea di quel disco?

«Ero affascinata dalle sue canzoni, lui era stato in carcere per lungo tempo ad Atene, torturato, spedito in un campo di lavoro per prigionieri politici e poi in esilio durante il regime dei colonnelli di cui era un fiero oppositore. C’erano stati anche dei contatti epistolari, mai però avrei pensato di conoscerlo di persona e di fargli ascoltare in anteprima i suoi brani cantati in italiano».

Chi procurò quell’incontro?

«Fu un’idea di Gigi Vesigna, allora direttore di “Tv Sorrisi e Canzoni”. Theodorakis era appena sbarcato a Roma, in esilio, sul corpo ancora le ferite delle violenze subite, doveva essere operato d’urgenza per un appendicite. Vesigna mi disse: “Andiamo a trovarlo, facciamogli ascoltare la “lacca” (allora le registrazioni dei provini si chiamavano così, ndr.) del tuo disco che sta per uscire con le sue canzoni”.

Ricordo come fosse oggi, quella stanza d’ospedale. C’erano lui e due suoi compagni dell’opposizione al governo dei colonnelli. Abbiamo messo su il disco e piano piano lui cominciò a piangere, e con lui i suoi due amici, tenendosi per mano, come in una forma di preghiera. Piansi anch’io, naturalmente».

Che le disse alla fine dell’ascolto?

«Mi abbracciò, volle un foglio su cui scrivere e me lo diede. La più bella dedica che un musicista mi abbia fatto: “Sono felice che la tua voce abbia incontrato la mia musica”. Ovviamente volli che quel biglietto diventasse la copertina di “Caro Theodorakis”».

Vi siete più incontrati?

«Il mio rimpianto più grande è quello di non aver potuto fare una tournée con lui, me lo aveva chiesto ma avevo già altri impegni. Però mi volle ad Atene, in un concerto a lui dedicato, a fine dittatura. Cantai tre suoi brani in un palasport gremito dove l’emozione per un dolore che ancora bruciava e per la libertà riconquistata era più che palpabile, fendeva l’aria, squarciava i cuori. Poi ci siamo sentiti più volte tranne che negli ultimi anni».

Al di là della fama conquistata col sirtaki di “Zorba” e con l’attività politica, chi era Mikis Theodorakis?

«Un uomo straordinario, di tenace senso della giustizia, un combattente vero. Ma soprattutto un musicista eccelso, un grande direttore d’orchestra qualità, questa, che, rispetto alla composizione, è rimasta magari in ombra. Ma basta leggere un suo spartito, ascoltare una sua esecuzione per capire quanto la sua musica fosse alta e le sue note ti sgorgassero con naturalezza dalla gola per farsi cantare».

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