Angela, più forte dell'anoressia: «Mezzo Plasmon, la mia sfida»

Angela, più forte dell'anoressia: «Mezzo Plasmon, la mia sfida»
di Maria Pirro
Venerdì 19 Aprile 2019, 07:05 - Ultimo agg. 11:00
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Il testo è un pugno nello stomaco, il racconto di 14 anni di orrori e segreti: il diario di una ragazza che si affaccia sull'abisso pronto a inghiottirla. E lo analizza, lo denuncia, lo osserva liberandosi da quel senso di colpa, ingiustificato e ingiusto ma così comune, come un labbro chiuso. «Ovviamente mi sono sentita sola, ma è stato il prezzo da pagare per il silenzio che mi sono imposta», afferma Angela Russo, riscrivendo la storia della sua vita. «Per tutti, oggi non sono più l'anoressica ma Angy Mollichina». Il soprannome richiama le briciole sparse in casa da mamma Antonietta, unico modo per nutrirla. Con il suo blog e gli altri social, la 25enne parla di disturbi del comportamento alimentare in modo straordinario, perché lo fa in prima persona, e adesso vuole fondare un'associazione con l'obiettivo di trasformare la sua esperienza estrema in impegno quotidiano. Un progetto carezzato il 15 marzo, quasi per caso, nella giornata dedicata a questo tema, quando Angela si è ritrovata ad appuntare il fiocco viola sulla giacca del sindaco Luigi De Magistris, e a organizzare un flash mob in piazza sostenuta dall'assessore Alessandra Clemente («Conosciuta portando a spasso il mio cane, Margot»).
 
Ripercorrere il suo calvario è necessario per capire, andando oltre le cause che possono essere diverse e mai da sottovalutare. Angela spiega: «Ho iniziato a tagliarmi all'età di sei anni, quando un pomeriggio di ritorno dalle ripetizioni di matematica volevo grattare via il marcio da me stessa. E, per 14 anni, la lametta non mi ha mai abbandonata, lasciando i segni: sui polsi, sulle braccia e sulla pancia». Al fiorire dell'adolescenza, «volevo rendermi brutta e talmente ripugnante da far passare a tutti la voglia di toccarmi. Così iniziai a mangiare, diventai una vera e propria catena di montaggio di schifezze». Grassa, quindi facile bersaglio dei bulli a scuola, e non solo. Angela contro se stessa. «Mi guardavo allo specchio e provavo ribrezzo e odio. Ero depressa, non volevo uscire di casa e la cosa più terribile era lo shopping: non trovavo mai nulla della mia taglia». Questo fino all'ultimo anno di liceo. «Ma lasciare gli studi allora non fu l'unica svolta nella mia vita: dopo cena, mi ritrovai piegata sul water. Fu una sensazione stranissima: il vuoto nello stomaco era appagante, realizzai che quello che avevo mangiato non era più dentro di me e questa consapevolezza mi portò un'euforia che non avevo mai provato. Avevo appena imparato che, se potevo riempirmi, potevo anche svuotarmi, ed era pure abbastanza semplice. Tutti notarono il mio dimagrimento e si complimentavano con me, i vestiti iniziavano a starmi più grandi: era gratificante ma non del tutto». E poi, «vomitare mi stava sfinendo: non ce la facevo più, tre volte al giorno erano decisamente troppe. Da bulimica diventai anoressica». Qui, nel proseguire, Angela cambia tono e usa il presente: la sua esperienza diventa collettiva. Perché «a un certo punto si comincia a perdere il senso delle cose, tutto ruota intorno al cibo o al non cibo. Si diventa un tutt'uno con la malattia, tanto da pensare che, se si guarisce, si perde il proprio io. Non si riesce a guardare oltre, come se ci fosse un muro con il mondo esterno, si ha paura di tutto e tutti». Può bastare un commento, una parola o un gesto. E le voci diventano alter ego: quello di Angela si chiama(va) Ana, «un gemello cattivo». Russo spiega che ha deciso combatterlo nel 2015, l'anno nero, lo definisce così. «Un giorno mia figlia mi chiese di andare al mare, ma a Miseno la feci rivestire per sottrarla agli sguardi», ricorda papà Mario. «Pesava 18 chili, non si alzava più dal letto, teneva la stufa accesa ad agosto e nessuno voleva accoglierla: non Roma, Padova, Milano. Per farla ricoverare a Villa Miralago, in provincia di Varese, le ho dovuto cambiare residenza, indicandola a Cercola, da mia sorella». Via da Forcella: «Allora nella struttura lombarda non accettavano pazienti da Napoli città per i ritardi nei rimborsi da parte della Asl». Mamma Antonietta Cappuccio, 59 anni, casalinga, annota a margine: «Abbiamo venduto la casa per pagare le cure, il nostro matrimonio è stato travolto, non abbiamo capito fino all'intervento di uno psicologo da cosa dipendesse il suo malessere. E io ho dovuto riprendere lo svezzamento quando aveva 20 anni. Con le mollichine, appunto». Ma Angy vede oggi in quello che è accaduto e sta emergendo un'opportunità familiare. E aggiunge: «La permanenza a Villa Miralago, seguita dal direttore sanitario Leonardo Mendolicchio, è stata fondamentale perché mi ha responsabilizzato e permesso di partecipare a diversi laboratori, di scrittura creativa, ad esempio. Decisivo anche il ruolo della psichiatra Valeria Ruzzi». Oggi, oltre a curare le pagine sul web che contrastano le tante altre pro anoressia, Russo frequenta la scuola serale, all'istituto Diaz, per diplomarsi. «E a qualsiasi ora rispondo ai messaggi delle altre ragazze». È più di una luce sul display dello smartphone: un faro nel baratro che può non avere nome. «Non è scontato dire cosa si prova e avere coscienza della malattia: all'inizio, io non l'avevo. Mangiare solo mezzo Plasmon diventa una sfida». Una sfida, e una nuova pagina da scrivere che non solo cancella quel senso di colpa così ingiusto e così comune. Angy Mollichina rompe gli schemi: «Non è vero che chi è anoressica non mangia perché non desidera il cibo: io avevo una fame da lupi».
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