Cannes e il panico da spoiler
che censura anche i social

Cannes e il panico da spoiler che censura anche i social
di Titta Fiore
Giovedì 23 Maggio 2019, 19:48
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Certo è bizzarro il terrore dello spoiler che dilaga nel mondo interconnesso. È curioso che gli abitanti della realtà liquida, dove l'ostensione di sé diventa prova della propria esistenza in vita, siano così reticenti quando si entra nel campo dell'immaginario. Posto, dunque sono. Il pranzo, la cena, il viaggio, lo shopping, l'amore, la gita in bicicletta, la festa di compleanno dei bambini, il ricovero in codice rosso e le disgrazie acquistano dignità di fatti solo se comunicati in diretta sui social. Beni immateriali e preziosi come l'amicizia diventano interscambio di valori solo se finiscono in una chat. Possibilmente numerosa. Tutti sanno tutto di tutti. Tutti devono sapere, è il bello della comunicazione orizzontale. Però lo spoiler no. Scoprire in anticipo come finisce una serie tv trasmessa in contemporanea sul mercato globale dell'audiovisivo è vietato. Raccontare un film equivale a un tradimento nei confronti dell'autore. Semplicemente, non si fa.

A Cannes, tanto per dire, le proiezioni dell'attesissimo «C'era una volta a... Hollywood» di Quentin Tarantino sono state precedute dalla lettura di un messaggio accorato del regista agli «happy few» accreditati e invitati (ma si tratta pur sempre di migliaia di persone), con la richiesta di non rivelare i colpi di scena della sceneggiatura per non perdere la freschezza delle trovate. E fin qui, anche se l'idea di una consorteria cinefila capace di mantenere il segreto per mesi prima dell'uscita in sala fa sorridere, data la velocità dei mezzi di comunicazione e l'uso spregiudicato che di solito se ne fa. Ma il caso Tarantino è niente in confronto alla guerra che si è scatenata sul web prima, durante e dopo la trasmissione dell'ultimo episodio del «Trono di spade» tra gli irriducibili che hanno messo la sveglia alle tre del mattino per sapere in diretta chi sarebbe stato il Re e i ritardatari inorriditi all'idea di scoprirlo al bar, in ufficio, sul tram, dal messaggino di un amico-nemico che gode all'idea di rovinarti la festa.



Un po' è una questione di marketing: più cresce l'attesa dell'evento, più aumenta l'interesse e quindi, si spera, più si staccano biglietti all'esangue botteghino. Un po' è vera passione, che nel caso della lunga serialità si trasforma in dipendenza. Per capirlo, il fenomeno si capisce: dopo otto stagioni di guerre, sesso e atrocità di ogni tipo, chi ha resistito al crescendo di accadimenti misteriosi avrà pure il diritto di godersi il finale e la vittoria del Corvo a tre occhi in santa pace. E si capisce la strategia che ha mosso i fratelli Russo, registi di «Avengers: Endgame», a non spoilerare la trama dell'ultima sfida tra supereroi nemmeno agli attori protagonisti, appellandosi al buon cuore dei fan perché facessero altrettanto una volta usciti dal cinema. Il fatto è che i social media hanno riscritto le regole della comunicazione e formulato un piccolo galateo cui la maggioranza dei internauti series-addicted finisce per adeguarsi, questione di «netiquette», di buona educazione.

Così, l'espressione «spoiler alert» è diventata di uso comune e all'inizio di un testo indica al lettore che quelle righe contengono elementi capaci di urtare la suscettibilità di chi intende fruire in maniera personale di un prodotto culturale e non gradisce anticipazioni di sorta. Tutto bene. Però, resta in piedi la domanda: quando finisce una notizia e quando comincia uno spoiler? Il confine è labile e l'ultima parola, in fatto di film, serie, libri, tocca all'utilizzatore finale, allo spettatore che dovrebbe saper godere di uno spettacolo, di una narrazione nella sua complessità, prescindendo dalla semplicità della trama. Concentrandosi sulle emozioni, a patto di provarle ancora.
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