Napoli: Martone e Favino nel rione Sanità, si gira il film su Genny Cesarano

Napoli: Martone e Favino nel rione Sanità, si gira il film su Genny Cesarano
di Alessandra Farro
Sabato 2 Ottobre 2021, 23:43 - Ultimo agg. 4 Ottobre, 07:16
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Sotto un cielo grigio, tra il rumore dei clacson e il rombo dei motorini e il vociare della folla, piazza Sanità si riempie nel nome di Genny Cesarano, il diciassettenne ucciso per sbaglio dalla camorra durante una sparatoria, a cui è dedicata la statua vicino alla chiesa di San Vincenzo, donata dalla Fondazione San Gennaro capitanata da don Loffredo, il parroco della Sanità. 

Tra la folla spunta Pierfrancesco Favino in giacca beige e mocassini marroni, sull’altare posto alle porte della basilica è Francesco Di Leva a recitare l’omelia, al posto di don Loffredo: «Nostalgia» di Mario Martone, tratto dall’omonimo e ultimo romanzo di Ermanno Rea, è alla terza settimana di riprese nel quartiere, e ha reclutato attraverso i social comparse e volontari per riprodurre la celebrazione domenicale con cui il sacerdote, sei anni fa, salutò Genny.

La scena non c’è nel romanzo di Rea, è stata voluta dal regista per sottolineare la lotta sociale del prete.

 

La folla è senza mascherina, simbolo di un futuro ancora sconosciuto: deve sparire dal viso, slogan che gli operatori ripetono instancabilmente durante le riprese. Nel film, prodotto da Picomedia e Mad Entertainment, il «parroco del rione» ha un altro nome, don Luigi Rega, come nel libro. La storia comincia con Felice Lasco (interpretato da Favino), nato e cresciuto alla Sanità e costretto, a 16 anni, in seguito a un omicidio che si consuma sotto i suoi occhi, a fuggire per fare ritorno solo a 45 anni di distanza, quando cerca, suo malgrado, di ricucire i rapporti con il suo quartiere che, intanto, è cambiato: dagli anni ‘60 ai Duemila il commercio di guanti è finito e la povertà e il malaffare hanno preso il sopravvento. Mentre i conoscenti d’infanzia evitano Felice, don Luigi Rega è l’unico ad accoglierlo ed ascoltarlo. La storia di un’amicizia e di un quartiere, entrambi in bilico tra onestà e omertà. Due ore dopo l’allestimento del set, Martone saluta finalmente il centinaio di comparse in attesa di cominciare, spiegando come si svolgerà la scena e le regole da rispettare: telefonini in silenzioso, niente foto, né video, non guardare in camera, rivolgere tutte le proprie attenzioni a Di Leva che indossa l’abito talare verde dietro l’altare bianco, e recita in tono concitato l’omelia con cui Don Loffredo annunciava che avrebbe cercato in tutti i modi di dedicare una statua a Genny.

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Dopo il sermone, la folla snocciola in coro il «Credo». Dei passanti incuriositi pregano insieme alle comparse, convinti che si tratti di una vera funzione, accalcandosi davanti alla chiesa con le mani congiunte. Presto arrivano gli operatori, che li incitano a spostarsi dalla piazza: soltanto le comparse tamponate con esito positivo fresco di mattina posso accedere al set. Tra ragazzi, signori, bambini, anche dei vigili della municipale nei panni di poliziotti e un quartetto di suore che non recita alcuna parte: è stato invitato a partecipare al set da don Loffredo in persona, che, a riprese avviate, fa capolino tra la folla e saluta Favino, con cui divide un caffè, qualche risata, per poi dileguarsi nuovamente. In rappresentanza del parroco, però, ci sono i tre fratelli, che restano in piedi come delle sentinelle insieme alle comparse dalle 9 di mattina fino alle 15, orario in cui, con un grande applauso, dopo tre cambi di macchina – prima da un balcone al terzo piano di un palazzo di fronte alla piazza, poi alle spalle di Di Leva, per finire con una carrellata su Favino che si allontana dalla folla – Martone annuncia la fine delle riprese, con le comparse almeno: mancano ancora gli interni in chiesa e alcune esterne di Favino che cammina per le strade della sua Sanità.

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