E Pino Daniele divenne il «Nero a metà»: il dietro le quinte di un capolavoro

E Pino Daniele divenne il «Nero a metà»: il dietro le quinte di un capolavoro
di Federico Vacalebre
Mercoledì 30 Dicembre 2020, 05:03 - Ultimo agg. 22 Marzo, 20:07
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Quando Maurizio Biancani al mixer isola l'ugola di Pino Daniele alle prese con «Musica musica» il groppo in gola è mitigato solo dallo stupore, dalla «maraviglia», dalla grande bellezza, dalla ricerca dell'emozione perduta: «Gli bastava la voce, quanto swing!», scappa al signore degli studi di registrazione, l'ingegnere del suono che è al centro della premiata serie «33 giri - Italian masters» che chiude l'anno alle 21.15 su Sky Arte con una puntata dedicata appunto a «Nero a metà», terzo album del cantautore newpolitano, uscito nel 1980 e appena ripubblicato dalla Universal, in doppia edizione deluxe (cd e vinile), con il bonus delle versioni live di «Quanno chiove», «I say I' sto cca'», «Napule è» (che viene però dall'lp d'esordio, «Terra mia»), «Alleria» e «A me me piace o blues» registrate in presa diretta il 30 aprile 1980 al teatro Massimo di Pescara.


Se la ristampa è preziosa, indispensabile per chi (chi mai?) non avesse ancora il disco, lo speciale è tra i più efficaci visti finora della serie ideata da Stefano Senardi, e non certo per il contributo di chi scrive, ma per la capacità di portarci letteralmente dietro le quinte di quello storico lavoro, 300.000 copie vendute all'uscita, uno dei classici del canzoniere pinodanieliano e della canzone d'autore italiana, allora poco capace di coniugare testi e musica, impegno e ritmo, cervello e cuore, anima e sesso come, invece, riesce perfettamente in questo lavoro di vera fusion, dove la melodia partenopea giace spudoratamente con il blues, eletto a principale amante, ma concedendosi amplessi anche con il funky, con il soul, il rhythm and blues, il rock: ecco spiegato il titolo, prima autodefinizione in musica del nostro (poi verranno il Lazzaro Felice, l'Uomo in Blues, il Mascalzone Latino...), ma soprattutto omaggio a Mario Musella, ma anche al sassofono di James Senese che cesella «Quanno chiove», oltre che suggestione arrivata da un libro allora appena letto, Nero di Puglia di Antonio Campobasso.


La macchina del tempo che ci fa vivere quei giorni di registrazione al castello di Carimate, ma anche al Trafalgar studio romano, è incarnata da due musicisti coinvolti in quel capolavoro: Gigi De Rienzo, bassista a cui Pino affidò anche la band con cui rilesse proprio «Nero a metà» nel tour del 2014, ed Ernesto Vitolo, alle tastiere.

Loro riaprono con Biancani le singole tracce, rieseguono sui loro strumenti gli assoli originali, spiegano i segreti dietro accordi allora inusuali e ancora dall'effetto travolgente. De Rienzo ricorda come alcuni dei suoni misteriosi, e amatissimi, di quel disco, fossero frutto dell'uso di un talk box, un «tubo parlante» che permetteva a Daniele di modificare il suono della sua chitarra attraverso i movimenti della bocca, come aveva fatto il Peter Frampton di «Show me the way». A capire come i pionieri del neapolitan power si siano divertiti in quelle session è anche il racconto di come cercarono di imitare il suono di batteria di «My Sharona», hit degli Knack, di come Enzo Avitabile, anche lui in studio allora, abbia aggiunto la voce su «A me me piace o blues»: «Eravamo tutti e due fissati con Sam & Dave... Pino? Uno e centomila, non certo nessuno», dice con la luce negli occhi di quegli anni lontani.


Nell'Italia degli slogan politici accompagnati da chitarre scordate, il treno del nascente supergruppo (con Senese arriveranno dal vivo Tullio De Piscopo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo, Tony Esposito) fece faville, uscì «Vai mo'» e quel blues latino aprì il mitico concerto di Bob Marley a San Siro. L'apoteosi di quella prima stagione, l'apice e la fine di quell'orgoglio napoletano, si registrò il 19 settembre 1981: piazza del Plebiscito, allora un parcheggio e non certo il salotto buono della città, si riempì di duecentomila persone, nessuno se ne aspettava tante, pensavano fosse un calesse ed invece era amore. Il primo vero megaconcerto italiano, la prima piazza liberata: tutto grazie a un Nero a Metà.

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